JOHN CROWN – The Progress
Come avevo già premesso nella recensione dell’album di Joe Bonamassa, non mi piacciono particolarmente gli album di chitarristi che si distaccano troppo dalla forma canzone per le loro composizioni, quindi probabilmente non sarò eccessivamente “attendibile” nel recensire il lavoro di John Crown.
C’è da dire che il nostro nella sua nota all’album dice subito che il suo è un progetto che tenta di unire varie forme di musica: rock, strumentale, ambient, elettronica e metal estremo cercando di creare una nuova forma di musica, da lui stesso definita “instrumental eletrorockmetal”.
Sempre dalle sue note apprendo che ‘The Progress’ è un concept/cyclic album, e mette in relazione la storia della musica metal col progresso tecnologico, immaginando vari finali: azzardo futuristico, ritorno al metal primordiale magari in chiave moderna.
Leggendo la premessa mi sarei aspettato: un brano tipo Led Zeppelin, uno tipo Black Sabbath, uno tipo Iron Maiden, uno tipo Metallica, uno tipo metal sinfonico, qualcosa tipo Bowie di Outside (che non è proprio metal, ma sicuramente è futuristico) e per chiudere un bel polpettone che riunisse tutto…
Primo brano: ‘The Metal Age’ il titolo ci sta tutto… ma già dalle prime note intuisco che non è quello che mi aspettavo; l’accordatura, il suono della chitarra e l’uso della doppia cassa non mi sembrano proprio anni 70!!!
‘March Of Tecnology’, magari arrivano i Maiden di ‘Seventh Son…’ qualche chitarra synth? No, uguale a prima…
‘Generating Machine’ questo è davvero interessante, ma certo 4’.46’’ del multieffeto per chitarra appena scartato forse sembrano essere un pò noiosi. Idem per il brano successivo ‘God=Media’
‘Rebellion’ uguale ai brani precedenti, tranne per un pò di urla tipo “rivoluzione”.
‘The strongest duty’ è un pò più duro dei precedenti, ma stessa solfa… e anche i restanti brani sono piuttosto insulsi.
Peccato perché dalle premesse le idee sembravano buone ed anche chitarristicamente il nostro John Crown potrebbe essere valido, uso il condizionale perché non si capisce come suona, solo valanghe di note senza senso, non un riff usato in maniera tradizionale, non un assolo con un senso melodico. Il suono della chitarra è zanzaroso e piccolo, così, tanto per suonare!! Alle volte non si capisce se la batteria è sgroovata o è la chitarra ad esserlo, ma dato che la batteria è elettronica viene da pensare che la chitarra vada spesso per fatti suoi.
Il lavoro si sente che è casalingo al 100%, ma come ho detto anche altre volte ormai le attrezzature degli home studio sono abbastanza arrivate ad un ottimo livello, questo suono casalingo sembra essere una negligenza piuttosto che una scelta, un emulo dello Steve Vai di Flexable? Erano altri tempi… 25 anni fa… e poi quello era ed è un gran bel DISCO!
Il nostro comunque vanta delle buone collaborazioni, evidentemente ha un tipo di talento e magari delle intuizioni che hanno bisogno di essere pilotate, convogliate e testate dal vivo prima di essere registrate.
Non basta essere veloci sulla chitarra per fare un buon album.
Un buon album è fatto di tante cose: un’idea, un’emozione del pubblico, una relazione con altri musicisti, un produttore artistico che un pò governi e misceli bene il tutto e un minimo di investimento economico che permetta di mettere in relazione tutte queste cose e registrare il proprio strumento e gli altri strumenti in maniera decente.
Fondatore di Suoni Distorti Magazine e motorheadbanger.