JOE BONAMASSA – Dust Bowl

JOE BONAMASSA – Dust Bowl

C’è da fare una premessa: non amo particolarmente gli album di chitarristi che prima di essere chitarristi non siano anche dei buoni autori di canzoni, penso ai Clapton o Santana d’annata, oppure a Gilmour o perché no al nostrano Solieri, oppure a Slash…
Ho sentito parlare più di qualche volta di Joe Bonamassa, ho ascoltato qualcosa qui e là, ma non me ne sono mai interessato, quindi digito il suo nome sul motore di ricerca e vengono fuori due cose che già mi piacciono: guitarist,
songwriter e nato l’8 maggio! Il che vuol dire che oltre a suonare la chitarra è anche un “apprezzato compositore” ed è nato il giorno del mio compleanno!! Magari potremmo avere dei gusti simili!
Inizio con interesse l’ascolto del suo nuovo lavoro ‘Dust Bowl’, mentre scorro un pò di pagine sul web, per capire meglio con chi ho a che fare.

Sicuramente ho a che fare con un bluesman, con un ottimo chitarrista e anche con un buon cantante. Ragazzo prodigio… a 12 anni ha aperto un concerto di BB King, che lo considera suo erede, a 14 anni viene invitato dalla Fender a suonare ad una manifestazione della più grande marca di chitarre, della marca rivale, la Gibson ne è addirittura endorser…
Proprio durante la manifestazione della Fender conosce il figlio di Miles Davis, Erin con il quale fonda la sua prima band i Bloodline, con i quali piazza ben due singoli in classifica, non male come esordio! E da lì un bel crescendo di successi che lo portano sempre ai primi posti delle classifiche blues di Billboard.
I suoi punti di riferimento sono: Eric Clapton, Jimmy Page, Jeff Beck, i principi del rock blues e quelli del blues classico, Robert Johnson, BB King…
Le sue collaborazioni sono illustri: Clapton, Glenn Hughes con cui, insieme a Jason Bonham e Derek Sherinian, fonda i Black Country Communion. Insomma, un ragazzo interessante.
C’è da dire che dalla partenza di ‘Slow Train’, il primo brano, si capisce subito che il livello è alto: dallo “schiaffo che arriva in faccia” , alla qualità compositiva del brano, da come è suonato a come è registrato. Sembra un disco di altri tempi, con un suono pastoso e avvolgente, ben lontano dall’odierno “suono di plastica”. Bella anche la voce. Il secondo brano, che è quello che dà il titolo all’album, è sulla stessa scia: ottimi i suoni di chitarra del solo, sullo stile di Gilmour; anche il suond generale ricorda molto i Pink Floyd, il che ovviamente non fa che confermare la cura nel suono.
Nel terzo brano ‘Tennessee Plates’ c’è un duetto con John Hiatt, altro artista eclettico e compositore eccezionale, il suono sembra qui notevolmente cambiare e diventare un pò inferiore ai brani precedenti, ma il brano lo richiede: è un blues classico, molto tirato! Altro blues è il brano successivo ‘The Meaning of the Blues’ dove c’è un superlativo assolo di chitarra. Poi si susseguono gli altri brani, dove il nostro Bonamassa, oltre a dimostrarsi un chitarrista notevole, cosa piuttosto chiara, ci fa scoprire ed apprezzare le sue doti vocali. E senza bisogno di presentazioni la dote vocale di Glenn Hughes in ‘Heartbreaker’.
Una menzione a parte merita la traccia 12 ‘Sweet Rovena’ dove c’è un altro duetto, stavolta con Vince Gill un bluesman definito “neotraditional” ed anche il brano è così….neotraditional, sembra un blues d’altri tempi, ma dal “tiro” attuale!
I musicisti che suonano in questo album, non hanno bisogno di presentazioni: Carmine Rojas al basso, Rick Melik alle tastiere e Tal Bergman alla batteria, conosco bene i loro nomi perché hanno suonato con alcuni dei miei artisti preferiti: David Bowie, Rod Stewart, Billy Idol… e questo già basterebbe a farne capire il calibro, ma per chi vuol saperne ancora basta digitare i loro nomi sul web e scoprire che abbiamo a che fare con musicisti della “serie A” mondiale!
Furbo questo Joe Bonamassa: quando ti circondi di musicisti del genere e di un produttore del calibro di Kevin Shirley (Aerosmith, Led Zeppelin…) e oltretutto sei anche bravo, l’album va da se che è praticamente perfetto! Forse pure troppo… in effetti non siamo di fronte ad una semplice registrazione di un bluesman, a qualcosa di sanguigno, di genuino, come ci si aspetterebbe, ma in realtà ci troviamo di fronte ad un lavoro ben concepito, congeniato e realizzato, senza difetti, dove l’unico difetto sembra essere quello di non trovarsi nelle orecchie quello che ci si aspetta; non dico che è male per carità, anzi a me piace, ma se pensate di trovarvi di fronte un album di un bravo chitarrista blues e basta, scordatevelo: non è così! Questo album è un’operazione praticamente pop, dove tutto è studiato nei minimi particolari.
Ma del resto Bonamassa è uno che scala le classifiche di Billboard attestandosi al primo posto di quelle blues, ed intorno al trentesimo delle classifiche di vendita in generale negli USA, numeri importanti. Uno che suona in grandi arene, non in localini fumosi e rissosi ed è comunque anche uno che porta il blues nelle scuole sostenendo “Blues in the Schools” una fondazione che si occupa di tenere viva e diffondere con delle dimostrazioni, dei seminari, dei workshop, per dirla all’americana, la tradizione della musica blues come prima forma di musica americana (fatta eccezione di quella dei nativi), di certo questo non può farlo un misconosciuto bluesman…
Che abbia inventato il pop/blues?!?!?!?! Puo darsi…

a cura di Nicola Di Già

Band: Joe Bonamassa
Titolo: Dust Bowl
Anno: 2011
Etichetta: Mascot Records
Genere: Blues/Rock Blues
Nazione: New York, U.S.A.

Tracklist:
1- Slow Train
2- Dust Bowl
3- Tennessee Plates (con John Hiatt)
4- The Meaning Of The Blues
5- Black Lung Heartache
6- You Better Watch Yourself
7- The Last Matador Of Bayonne
8- Heartbreaker (con Glenn Hughes)
9- No Love On The Street
10- The Whale That Swallowed Jonah
11- Sweet Rowena (con Vince Gill)
12- Prisoner

Lineup:
Joe Bonamassa – voce e chitarra
Eric Czar – basso

Kenny Kramme – batteria