MINISTRY – HOPIUMFORTHEMASSES
Con la sua copertina delirante e psichedelica, HOPIUMFORTHEMASSES è il sedicesimo album dei Ministry, la creatura più famosa di Al Jourgensen, innovatore e polistrumentista del genere industrial metal.
Fin dal primo ascolto non sorprende che il nuovo disco dei Ministry (in uscita oggi 1 marzo per la Nuclear Blast Records) sia compatto, ben prodotto, diretto e ricco di spunti. Idee mai banali, che riescono a rianimare un genere ancora una volta, persi in un folle mix di inni marziali, assoli psichedelici, inni al pogo e tutto il resto che si conviene alla band. Non sorprende, tutto questo – al punto che si finisce per chiedersi se sia questa, ancora una volta, la strada giusta, avendo prodotto l’ennesimo disco industrial metal standardizzato sulle ultime produzioni (Moral Hygiene, Amerikkkant).
I brani di HOPIUMFORTHEMASSES sono quelli che i fan hanno potuto da tempo pregustare in anteprima, con il consueto mix di paranoia sociale, critica alle politiche USA e allucinazioni consensuali assortite (tra cui la più grande di tutte, internet, è ormai mezzo e fine di troppo delle nostre vite): Goddamn white trash, Just stop oil, BDE. E non poteva mancare l’ennesima cavalcata thrash metal TV Song 1/6 Edition, sulla falsariga della celebre traccia industrial che viene riproposta allo sfinimento, album dopo album, in versione risuonata. Una traccia affiancata da un brano di sapore springsteeniano (!) come Cult of suffering, interpretata come se la sofferenza fosse ormai un culto, una religione da ossequiare gioiosamente con un gospel elettronico.
Per certi versi, in definitiva, è come se ogni nuova disco portasse altrettanta linfa alla band: senza esaltarci troppo, s’intende, e sia pur proponendo una formula che convince solo in parte, al punto da convincerci a parlare di una solita solfa sperimentale. Con tutti i pregi e i difetti di una definizione del genere, ovviamente, e per rendere l’idea di quello che uno andrà ad ascoltare, suo malgrado. Tra tutti i brani dell’album ritengo che meriti menzione soprattutto It’s not pretty, un brano semi-acustico che ricorda vagamente gli Alice in chains – ma anche un po’ gli anni Novanta, la quale poi cede ad un delirio di influenze diversissime (come solo la mente di Jourgensen poteva concepire).
Al ci farebbe seriamente sobbalzare come ascoltatori, a questo punto, solo se tornasse alle origini: con questo non vogliamo intendere i dischi del periodo synth pop (a tutto c’è un limite: siamo pur sempre nel 2024! Forse 🙂 ), tantomeno quelli puramente industriali come Psalm 69 (che rimane, piaccia o meno, il capolavoro assoluto della band). Ed è proprio qui che si colloca Ricky’s Hand, che è il brano che chiude l’album, questa volta sulla falsariga electro-goth – che deve moltissimo, ovviamente, alla gioventù dei Ministry (quelli di With Sympathy, un disco vecchiotto quanto, a suo modo, ancora divertente da riesumare).
HOPIUMFORTHEMASSES (scritto in lettere maiuscole e tutte attaccate per distinguerlo, probabilmente, dal quasi omonimo Opium for the Masses dei Bad Moon Rising, disco cult di metà anni Novanta) è in definitiva la (nuova) rinascita di Al, la sua ennesima reincarnazione musicale, tale da renderlo a mio parere (e senza tentennamenti) uno degli artisti più longevi del panorama metal. Anche a costo di rilevarne certi difetti di ripetitività, i riffoni compatti quanto già sentiti, l’inesorabile effetto ancoraggio ribadito fin dai tempi di Relapse del 2012 (forse il disco meno noto e più embrionale rispetto ai Ministry attuali).
A cura di Salvatore “Headwolf” Capolupo
- Genere: Metal
- Etichetta: Nuclear Blast Records
- Pubblicato il: 01.03.2024
Tracklist
1. B. D.E 4:27
2. Goddamn White Trash 4:43
3. Just Stop Oil 3:59
4. Aryan Embarassment 5:58
5. TV Song 3:18
6. New Religion 5:05
7. It’s Not Pretty 5:05
8. Cult of Suffering 6:12
9. Ricky’s Hand 3:41
Ingegnere per passione, consulente per necessità, insegno informatica. Secondo capo-redattore e supporto tecnico di SDM.