Finalmente giunge sulla mia polverosa scrivania un esordio italiano prodotto e confezionato come si deve! I Design da Castelfilardo (Ancona) timbrano l’esordio sulla lunga distanza con “Technicolor Noise”, uscito per Zeta Factory (dopo l’EP “4 Little Hanged Toys”, datato 2007, che ha permesso alla band di cimentarsi in una discreta attività live, esaltata dalla condivisione del palco con realtà quali Ministri e Il Teatro degli Orrori) e lo fanno con un lavoro avvincente, moderno, dinamico e come detto, suonato e “presentato” come Dio comanda.
Merito della band e dell’etichetta che dimostrano una impeccabile professionalità, a differenza di molti improvvisati che non ritengono opportuno inviare le giuste presentazioni del proprio gruppo oppure considerano superfluo curare l’immagine degli artisti e del “prodotto”- CD.
Beh, ma la musica direte voi? Tranquilli, anche quella è di buona fattura (e chiaramente rimane l’oggetto principale della recensione), nonostante alcune fisiologiche cadute di tono nella seconda parte del disco e spazia nei meandri di un Nu-Rock molto moderno, aggressivo ma allo stesso tempo melodico, non disdegnando puntate in territori pop (di matrice prettamente britannica) ed impreziosendo il tutto con elementi di musica elettronica ed industriale. Numi tutelari dei Design sono senza dubbi alcuni “giganti” del Rock-arama mondiale nati nella seconda metà dei 90’s (per lo più negli States) e tutt’ora in auge, pur chiaramente evitando per bene di risultare un semplice clone.
“Thinking People” apre le danze presentando, come giusto che sia per un’opener che si rispetti, l’intero campionario dei Design: riff di chitarra incisivo, ritmo sostenuto, il basso della bellissima Sara distorto, pesante e sempre in primo piano, inserti elettronici a metà pezzo (qui derivazione techno) e la voce malata di Daniele ad urlarci la rabbia verso la gente con il cervello ormai atrofizzato. “(Turn off) The Sun” è il primo singolo estratto dal disco (del quale è stato girato anche un video, altro esempio di professionalità di questi ragazzi) ed in quanto tale gode di una capacità di assimilazione altissima, in pratica ti rimane appiccicato in testa dal primo ascolto, pur non essendo un brano sdolcinato, anzi la band dopo il tipico break elettronico di metà brano picchia che è una meraviglia, lanciandosi a velocità elevate fino alla fine del brano.
Il brano sembra avere le potenzialità per sfondare anche presso un pubblico non proprio avvezzo a sonorità dure, se solo potesse godere del giusto air play radiofonico!!
I Deftones più paranoici sono prepotentemente chiamati in causa in “Fail Better”, Daniele paga un pesante dazio a Chino Moreno, la sezione ritmica batte un tempo marziale mentre le chitarre disegnano melodie malate ed alienanti. “OPOV” (che credo sia un acronimo per Optimistic Point Of View) riprende la vitalità della doppietta iniziale, il ritmo torna sostenuto, le chitarre sono dolci e soffuse nelle strofe e belle incazzate nello splendido ritornello, qualcosa da urlare a squarciagola in sede live. “Song for Dreamers” è a mio avviso un piccolo passo falso della band, non tanto perché si tratti di un brano prettamente pop (il genere di appartenenza non deve essere mai una discriminante, conta solo la qualità espressa nel brano) ma perché la band sembra giocare in un terreno che non è il proprio, adagiata su una base elettronica innocua su cui non riesce a imporre linee melodiche degne di nota.
Da qui inizia anche una ipotetica “seconda parte” di “Technicolor Design”, dove emerge la natura più sperimentale dei Design e dove il livello qualitativo denuncia, come detto, un piccolo calo.
“Hank” è un brano fortemente industriale, dove il verbo di Trent Reznor riecheggia sinistro tra le note grondanti dagli strumenti e nella voce distorta di Daniele. Anche “Painter” continua la ricerca e la sperimentazione: l’elettronica la fa da padrone, le vocals di Daniele sono ancora più distorte ma più melodiche rispetto al brano precedente, ma il risultato complessivo convince decisamente meno rispetto ad “Hank”. Da sottolineare il finale in Dub step, che non può non richiamare alla mente i Korn di “Path to Totality”.
Il Trip hop dei Massive Attack e Porthead, ma anche i Radiohead per le linee vocali sembrano influenzare la base musicale della “Introducing Myself”, che gode di una iniezione di adrenalina a metà del brano, in concomitanza con il trascinante chorus. “Straight at You” è la botta di vitalità di cui l’ascoltatore ha in questo momento bisogno e che puntuale arriva, mentre “Empty Rooms” riabbassa i ritmi, mostrandosi come l’electro ballad dei Design.
Ancora elettronica in primo piano nel mid-tempo di
“Silent Movie” che si fregia pure di controcanti femminili volti ad accrescere al natura emozionale del brano. Chiusura affidata a
“Rock And Roll Anthem” che, come esplicitamente annunciato nel titolo, è un ottimo “inno” rock industriale decisamente danzereccio, 80’s e memore del Manson più glamour di
“Mechanical Animals”.
Se ci fossero i voti nelle recensioni di Suoni Distorti Magazine un “7” pieno non lo toglierebbe nessuno a “Technicolor Noise”, ma già attendo il suo successore visto che le potenzialità per un grande album in casa Design ci sono tutte!
a cura di Matteo Di Leo
Band: Design
Titolo: Tchnicolor Noise
Anno: 2012
Etichetta: Zeta Factory
Genere: Alternative Rock, Electro Rock
Nazione: Italia
Tracklist:
1- Thinking people
2- (Turn off) The Sun
3- Fail Better
4- OPOV
5- Song for Dreamers
6- Hank
7- Painter
8- Introducing Myself
9- Straight at You
10- Empty Rooms
11- Silent Movie
12- Rock and Roll Anthem.
Lineup:
Daniele – voce
Emanuele – chitarra e voce
Nicola – chitarra, sinth, parti elettroniche
Sara – basso
Bob – batteria
Fondatore di Suoni Distorti Magazine e motorheadbanger.
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