Se fossero stati più brutali, li avrebbero chiamati TAKE DEATH
Vi siete mai chiesti qual è il nesso tra i Take That e la musica Heavy Metal?
Nessuno! State tranquilli, non sarò certo io a dirvi il contrario!
Ma se decidiamo di ribaltare i termini chiedendoci se esista, invece, una connessione tra l’Heavy Metal e i Take That, beh, allora io vi risponderò di sì! Ma, vi prego, non tacciatemi di blasfemia, piuttosto prendetevela con gli Emo e i tanti teatranti della scena Gothic (non tutti, ma tanti).
Seguitemi in questo viaggio e torniamo un po’ indietro negli anni, chiedendoci quale fosse il pubblico dei Take That – e dei tanti gruppi, spesso “one shoot”, costruiti a tavolino da abili produttori, che hanno seguito le orme dei cinque ragazzotti sfonda-classifiche durante gli anni ’90 e oltre -, se non quello degli adolescenti e preadolescenti appartenenti alla classe media, imborghesita dietro ad un televisore, il quale, a suon di Beverly Hills 90210, Dowson’s Creek et similia, raffigurava una generazione di ragazzi/e tutti straordinariamente-fighi, tutti mediamente ricchi, tutti sufficientemente istruiti e tutti scarsamente animati da rigurgiti antisistema?
Nell’epoca del post Muro di Berlino, d’altronde, “l’ordine costituito” aveva ben capito che sarebbe stato meglio proporre come modello di società agli adolescenti occidentali una sorta di Happy Days del nuovo millennio, piuttosto che quel mondo a tinte fosche, e vissuto nelle periferie, descritto prima dalle subculture Dark e Metal e, dall’inizio degli anni ’90, dal Grunge.
Ovvio che questo modello era il più gradito anche ai tanti genitori – appunto, borghesi o imborghesiti – che, sommersi dagli impegni loro imposti dal lavoro, dal dopo-lavoro, dal club del taglia&cuci e dall’immancabile seduta di lifting, avendo sempre meno tempo a disposizione da dedicare a quel fardello chiamato “figli”, delegarono ai mass media l’educazione della prole poiché, in fondo, chi vuoi che ne sappia di più su come far crescere un figlio se non lo psicologo/sociologo Tal De Tali che l’altro giorno ha parlato in tv, tessendo le lodi del bigottismo che ci cirdonda?
Ed è proprio qui che entrano in gioco le vecchie volpi dello Show Business che, fiutando il clamoroso affare, inventano di sana pianta le così dette “boy band” come, appunto, i Take That (anche le Spice Girls, ovviamente, rientrano nella categoria pur essendo ragazze) e invadono il mercato musicale e tutti i media con un prodotto preconfezionato e insipido fino all’osso ma che fa presa su quel pubblico di adolescenti, non tanto per le doti musicali o acrobatiche (del tutto nulle) dei soggetti che si esibiscono, ma perchè quelle musichette innocue “rassicurano” non solo i ragazzi che, abituati a vedere in tv lo stereotipo del ragazzo belloccio cui va sempre tutto a meraviglia, ora se lo ritrovano anche su un palco a cantare (in play back) canzoncine per tutte le stagioni dove “cuore” fa sempre rima con “amore” e che continua a suggerirgli che il mondo reale sia sempre e solo “quello”, ma “rassicura” anche i genitori, felici che i figli ascoltino la “rima sicura” piuttosto che la chitarra sotto steroidi del coevo Kurt Cobain.
“Sì, ok, ma in questo magazine si parla di Heavy Metal, non dei Take That e delle Spice Girls!”, lo so, qualcuno starà pensando questo e magari ha già spostato il cursore del mouse sull’icona “chiudi”.
Un attimo di pazienza ancora e datemi l’opportunità di parlare di questo processo anche qui, perchè il meccanismo che ha dato i natali alle boy band, subdolamente e senza dare nell’occhio, è riuscito ad inserire i suoi lunghi tentacoli anche nella musica metal o, per lo meno, in parte del suo pubblico (quello più giovane e dalle trasgressioni limitate alle battaglie da cameretta) e in parte dei suoi protagonisti (con un po’ di malignità, oserei dire i musicisti non abbastanza belli esteticamente e troppo bravi tecnicamente per suonare il pop da boy band ma, allo stesso tempo, troppo puliti in faccia e troppo scarsi con una chitarra a tracolla per suonare metal).
Adesso, però, giustamente volete sapere da me i nomi di questi blasfemi. E così sia! Ma prima lasciatemi parlare ancora per un po’ della nostra società.
Ebbene, se negli anni ’80, la simpatica mascotte degli Iron Maiden, il sempiterno Eddie, di pari passo con Freddy Krueger – il mostro antagonista della serie cinematografica Nightmare -, e ai mai abbastanza acclamati romanzi di Stephen King, rappresentavano i simboli della sub-cultura Horror, invisa a buona parte del pubblico adulto e aborrita anche da gran parte del pubblico giovanile femminile, con l’arrivo del nuovo millennio e l’invasione, più o meno figurata, su tutti i media di personaggi quali elfi, hobbit, orchi, maghi, streghe e mostriciattoli dalle più variegate foggie e sembianze, iniziata con la saga cinematografica del Signore Degli Anelli (tratta dagli omonimi libri di Tolkien ed edita come “roba seria” nei lontani anni ’50) e proseguita con interminabili serie tipo Harry Potter, Il Trono Di Spade, Twilight e chi più ne ha più ne metta, da una parte ha fatto cadere il tabù censoreo sul genere horror (anche perchè, in queste nuove vesti, risulta essere molto annacquato rispetto agli insegnamenti di Lovecraft) divenuto ora appetibile anche e soprattutto ad un pubblico femminile e, dall’altro, ha creato un nuovo genere di consumo ad esso legato che spazia e spadroneggia sugli scaffali dei negozi, dai videogiochi ai libri.
Da qui alla creazione di generi artistici nuovi (Emo) o al riciclo di vecchie etichette (Gothic) il passo è stato breve.
Poteva lo show business musicale restare indifferente a questa nuova, potenziale, forma di guadagno? Ovviamente, no! E ora, signori della giuria, è arrivato il momento di fare i nomi!
Su tutt, direi gli Evanescence e i Whitin Temptation, capofila di quel genere neo-gotico che occupa stabilmente buoni posti nelle classifiche di vendite e streaming musicali… sì, lo so, lo so, molti di voi staranno urlando: “questi non hanno nulla a che fare con il metal!”… ma io che c’entro? Prendetevela con loro e con chi li segue, loro si/li definiscono tali!
Quali sono le caratteristiche del gruppo americano e di quello olandese (del tutto sovrapponibili tra loro)? Innanzitutto musicisti dalle facce “pulite” (insomma, diciamolo, per motivi che nulla hanno a che fare con la musica, Zack Wilde e Nicko McBrain non verrebbero mai accettati in una band simile) che a suonare se la cavano discretamente (non saranno i Dream Theater ma scarsi non sono, ammettiamolo). Nel gruppo non può mancare un tastierista che, probabilmente, avrà alle spalle studi classici e sabati sera passati a fare il DJ in discoteca (questa è una cattiveria gratuita, lo so, chiedo venia).
Dopodichè, ciò che non manca è una cantante (sublimamente donna) dotata di voce considerevole (non lo neghiamo, suvvia) e di una bellezza eterea (chi ha da ridire può anche chiudere la pagina), costantemente in abbigliamento gotico, che strizza l’occhio un po’ a Celin Dion (della quale, guarda caso, David Hodges, primo tastierista degli Evanescence, diverrà produttore e tastierista) e un po’ alla Susan Sarandon del Rocky Horror Picture Show (i reggiseni push-up a quota Everest di Sharon den Adel dei Whitin Temptation non mi ricordano nient’altro di non censurabile).
Sviscerato, tra infinite parentesi, ciò che viene proposto ai nostri occhi da questi novelli paladini del gusto gotico, adesso parliamo di ciò che arriva alle nostre orecchie: musiche e testi.
Le musiche possono essere decritte come un caotico centrifugato di Rachmaninoff, Iron Maiden, Manowar, Helloween, Stravinsky e Meat Loaf, decurtati dell’80% delle note suonate e/o composte dai suddetti e infarcite, quanto basta, da richiami alle colonne sonore del “Mago di Oz” o ai musical stile “Il Gobbo di Notre Dame”, con una infarinata sostanziosa di synth-pop e drum machine e, seppur con il contagocce, qua e là, ogni tanto si ode anche un accenno a musiche “estreme” tipo trash o black metal. Insomma: tutto e il contrario di tutto, a patto che la tonalità sia minore, che vi sia sempre uno spazio dedicato ad un passaggio solo piano e voce (altrimenti mamma, che ascolta di sfuggita dalla stanza accanto, potrebbe preoccuparsi) e che ci siano degli assoli di chitarra, mediamente tecnici ma mai troppo lunghi, pena la sparizione per noia dei folletti o degli amori impossibili cantati nei testi.
Già, i testi: si va dalle lagne amorose della peggiore tradizione italica (sono convinto che tra i cd dei suddetti gruppi non manca l’opera omnia di Laura Pausini, e poco importa se probabilmente non conoscono una sola parola di italiano, basta l’influsso…), ai racconti di folletti, fate, maghi e lupi mannari dove le descrizioni horror, truci e a tratti sadiche, utilizzate da tanti autori (realmente) metal, vengono del tutto abolite, edulcorate e convertite in salsa Harry Potter.
Arrivati a questo punto (dopodichè, giuro, chiudo), dov’è quel legame tra Heavy Metal e Take That di cui parlavo all’inizio?
Il legame sta nel fatto che utilizzando come veicolo e punto di partenza la musica metal, il mercato ha adoperato le stesse tecniche commerciali messe in campo per creare fenomeni pop come, appunto, i Take That, invadendo una fetta di mercato nuova per un pubblico di stampo borghese. Perchè è proprio qui che sta la novità: il metal è musica da classe operaia e da sobborgo industriale, non certo da lounge-pub o circolo del golf ma, allo stesso tempo, è un genere che ha sempre suscitato interesse in un pubblico giovane in cerca di ribellione, quindi anche borghese. Ma quella ribellione va domata con tanta carota e ben poco bastone (altrimenti lo psicologo/sociologo/tuttologo/nullologo che l’altro giorno ha sproloquiato in tv avrebbe da ridire) e quindi ecco che i figoni di Beverly Hills 90210 diventano i vampiri o i lupi mannari di Twilight e gli amiconi perfettini della “cerchia di Dowson” diventano i maghetti di Harry Potter e, per colonna sonora delle giornate, anziché i Take That (ormai obsoleti anche per i discografici), diamo ai ragazzi un bel gruppo Gotic, potente ma non troppo, veloce ma non troppo, spettacolare ma non troppo, così mamma è tranquilla: nulla accadrà ai loro pargoli, i folletti e i mostri vengono cantati da un soprano accompagnato da un pianoforte, è “quasi” musica classica se togliamo chitarre e batteria, non c’è pericolo.
E poi, se al posto di cinque ragazzi puliti e cocchi di nonna mia, (così dicevano le mie compagne di scuola) dannatamente belli, come cantante del gruppo mettiamo una ragazza facciamo contenti tutti: i ragazzi e le loro tempeste ormonali, le ragazze che non si sentono più sole avendo una di loro che canta i loro problemi e, soprattutto le mamme delle ragazze che inconsciamente percepiscono come innocua una ragazza che canta piuttosto che cinque ragazzi che potrebbero scatenare nelle figlie qualche diavolo tentatore… dimenticavo e così chiudo: a proposito delle mamme… quelle che ieri erano le ragazzine che ascoltavano i Take That oggi sono le mamme dei ragazzi che ascoltano il finto metal proposta dalla quasi totalità dei gruppi Gothic.
Sarà un caso?
Sono Saverio Chiodo, musicista per diletto e musicologo per studi (ma non per professione). Autore del libro “Woodstock: Alba&tramonto” edito da Arduino Sacco Editore nel 2010. Genere preferito: la musica, nel senso che per me esistono solo la musica buona e quella nociva!!!