Ragnarök Festival 2014 – il live report dell’evento!
Nota: tutte le foto di cui non è segnato l’autore di Federico (l’autore dell’articolo). Per le altre, un ringraziamento a Erica e Riccardo che ce le hanno gentilmente concesse.
Noi italiani abbiamo solo da imparare dai tedeschi in fatto di festival. Prima di iniziare a descrivervi quello che è successo durante la due giorni del Ragnarök Festival 2014 mi preme fare una piccola introduzione per farvi capire, cari lettori, l’aria che si respira ai festival tedeschi.
La primavera è arrivata e in Germania questo vuol dire quattro cose: campeggio, birra, barbecue e festival. Se a tutti i tedeschi piace andare a crogiolarsi al sole nel primo parco disponibile, arrostendo carne e tracannando birra, per tutti i metallari tedeschi è d’obbligo partecipare almeno a un festival con annesso campeggio, così da poter arrostire carne, tracannare birra e se avanza del tempo ascoltare qualche band. E così eccovi spiegato l’enorme quantità e qualità dei festival in Germania. Wikipedia ne conta 326, anche considerando che non tutti sono metal la differenza con quelli italiani (22) è impressionante.
Dato che in Germania ogni gruppo del mondo in tour fa almeno cinque o sei date ai tedeschi non interessa molto andare ai festival per le band, che probabilmente hanno già visto. Per loro festival vuol dire campeggio di metallari. Sono sicuro che ci sia stato qualcuno che non abbia visto nessuna band dell’enorme bill del festival, impegnati come erano a bere e cantare fino alle 7 del mattino (e nessuno ha avuto niente da ridire, sia chiaro). Non come in Italia che per vedere band valide dobbiamo aspettare eventi come il Fosch (un minuto di silenzio per commemorare quello che era il più tedesco fra i festival italiani).
La formula del Ragnarök non differisce da tutti gli altri festival tedeschi, dal Wacken Open Air in giù. Braccialetto come status symbol, bicchieri di plastica con simbolo del festival da portare a casa come ricordo, birra economica (2.50 € più 1 di cauzione), zona merchandising, Biergarten con improbabile musica house, palchi enormi e audio molto buono. Mettiamoci un bill pauroso e il campeggio descritto sopra ed eccovi la formula per il festival perfetto, a soli 57 euro (50 per il festival e 7 per il campeggio). Chissà se mai avremo un festival del genere in Italia, e chissà quanta gente ci verrà.
Organizzazione perfetta completa di security, vigili del fuoco e croce rossa costantemente nel campeggio, a tratti fin troppo fiscale ad esempio nel cambio dei tempi. Orari da rispettare al secondo con relativa insegna luminosa a indicare il tempo rimanente a tutti i gruppi, giusto un paio di minuti concessi come sforo, poi giù il sipario, con buona pace ad esempio dei Finsterforst, che si sono visti chiudere il sipario durante la classica foto dal palco.
Finita questa larga introduzione che farei leggere a tutti gli organizzatori d’Italia (oltre a quelli che si lamentavano dell’introduzione del biglietto al Fosch Fest) andiamo finalmente a raccontare questa due giorni di “medallo tetezco”.
Venerdì 25 Aprile:
Sono le 6.30 quando la sveglia suona, dopo ben tre ore di sonno dovuti a una mezza influenza che, con
precisione millimetrica, mi colpisce due giorni prima del festival. Iniziamo bene. Il viaggio prevede 4 treni per cinque ore di viaggio, con in mezzo due pause di un’oretta nelle simpatiche cittadine di Aschaffenburg e Würzburg. La prima parte del viaggio va piuttosto bene, complice la leggendaria precisione dei treni tedeschi che mi consente di dormire tranquillo impostando la sveglia a due minuti dall’arrivo previsto. Ad Aschaffenburg invece tutti i miei buoni propositi di star tranquillo cadono quando incontro un gruppo di ragazzi capitanati da pikachu (un tedesco che per tutto il festival porterà questo costume, poi siamo noi italiani quelli poco seri).
“Stai andando anche tu al Ragnarök?”
“Si”
“Allora devi bere.”
E giù di Apfelwein di prima mattina. A Würzburg siamo già a quota due e da italiano non posso non ricambiare. Il primo carico di birre mi costa 6,66 euro. Il maligno è chiaramente complice di questo incontro, che mi porta ad arrivare a Lichtenfels, location del festival, bello allegro, con una decina di tedeschi miei compagni di viaggio anche abbastanza allegrotti. La temperatura è ottima, il cielo sgombro. Entriamo nel campeggio, che sembra davvero piccolo. In effetti verrà immediatamente allargato a un’altra zona, trovata, recintata e servita di bagni e fari alla velocità della luce. Organizzazione tedesca. Le presenze, diciamolo subito, saranno stimabili intorno alle 5000 persone, sicuramente più di 3000. Numeri non altissimi ma comunque possiamo dire “giusti” per le dimensioni delle infrastrutture del festival. Recuperato il pass (un tesserino e niente braccialetto, peccato) si può entrare nella zona concerti, con la consueta security a controllare gli ingressi. Ampio ingresso con zona merchandising, tre quattro punti dove mangiare e punto birra. Il concerto vero e proprio è invece al chiuso, in un palazzetto dello sport. Due palchi molto grandi (per chi ci è stato, uguali al wet stage del Wacken) per un area concerti che ad essere sincero mi aspettavo più grande ma che si rivelerà essere più che sufficiente a ospitare tutte le presenze. Le gradinate del palazzetto saranno un ottimo rifugio per i momenti di stanchezza, permettendo comunque di godere di un’ottima visuale del festival. Sono oramai le 14.30 quando inizia la giornata di musica, ad aprire sono i Craving.
- Craving
Tedeschi come moltissime altre band del bill, i Craving erano tra le band underground da me più attese. Due album all’attivo ( di cui il secondo, ‘At Dawn’, uscito a Ottobre), melodic death/black con influenze folk, i Craving sono una di quelle band che secondo me ha tutte le carte per fare strada. Pubblico scarso (strano, data la loro partecipazione alla pubblicità del nuovo samsung in Germania) ma molto caldo, audio abbastanza buono, i Craving sfornano una buona prestazione, spinti soprattutto da Ivan, il cantante, e da Thorsten, chitarrista. Alcuni problemini tecnici sulla cover di Emmelie de Forest Only Teardrops prontamente superati e i Craving portano a casa una bella, seppur corta, prestazione.
Setlist
- Сказания о святой Ольге (Olga)
- Wolfsherz
- Only Teardrops (Emmelie de Forest Cover)
- Hellraiser
Si inizia bene, con un pubblico però abbastanza statico che si lascerà andare raramente durante la due giorni. Poco pogo, che mi toccherà fomentare più volte. Arriva il momento del primo gruppo italiano, i Krampus.
- Krampus
Ed ecco quella che deve essere l’oggettività di un live report scontrarsi con i miei gusti personali. Dato che conciliare le due cose mi sembra davvero impossibile, vedrò il concerto dei Krampus sotto due punti di vista, il mio e quello del pubblico.
Personalmente il nuovo corso dei Krampus, dopo il primo lavoro tutto sommato niente male, non mi piace per niente. Passare così nettamente da un folk/death metal alla Eluveitie a quello che è a tutti gli effetti un metalcore con gli strumenti folkloristici ad accompagnare la smielata voce di Filippo durante i ritornelli (parte peggiore di tutte) è davvero un salto al di là dei miei gusti musicali. E non mi venite a dire che “si sono evoluti”. Cambiamento non è miglioramento, quindi si sono cambiati, in peggio secondo me. Abbandonata questa mia personale opinione del gruppo, sarà molta la gente a confermarmi la disapprovazione verso questo nuovo corso, dai tedeschi campeggiatori a fan di vecchia data del gruppo.
La volontà di allontanarsi totalmente dal folk metal è palese anche dal modo di presentarsi sul palco, via la tenuta di scena medievaleggiante del primo periodo (poco originale per carità, ma azzeccato per il genere), si a camicie e giacche da baseball.
La resa live c’è da dire è niente male, nonostante l’audio metta poco in risalto la parte migiore del sound (a amio parere), gli strumenti acustici. Si sviluppa anche un po’ di pogo. Il pubblico, seppur leggermente più scarso di quello dei Craving, risponde bene.
Chiudiamo questa parentesi e si passa a tutt’una altra musica, perché arrivano i black metallars Creature.
- Creature
Arrivano sul palco i Creature, tedeschi e autori di un black metal veloce e violento senza molti compromessi. Buona la loro presenza scenica, saranno una delle belle scoperte di questo festival, gruppo tra l’altro con già 4 album all’attivo.
Setlist
- Keines Herren Knecht
- Der letzte Krieger
- Genesis
- Flammenhunger
- Zenit
- Ingrimm
Secondo gruppo underground che aspettavo, gli Ingrimm (sempre tedeschi), sono fra quei gruppi tedeschi che portano avanti la bandiera nazionale del medieval folk. Se all’apparenza potrebbero sembrare uno dei tanti gruppi crucchi per crucchi che compongono questa scena, gli Ingrimm possono dire qualcosa in più grazie a un’attitudine più heavy e meno concentrata sui testi della media.
Con il proprio pubblico a sostenerli e a ad accompagnarli in quasi tutti i pezzi, gli Ingrimm confezionano una bella prestazione, con un audio finalmente quasi perfetto, diventando la maggiore scoperta del Festival per un nutrito numero di compagni di viaggio.
Setlist
- INTRO
- Asche auf mein Haupt
- Tempus Fugit
- Skudrinka
- Diaboli
- Hängt ihn
- Carpe Diem
- Sanduhr
- Sag mir nicht
- Die Pest
E’ a questo punto che risalta il maggior problema che si rivelerà essere del Ragnarök: l’enorme quantità di gruppi, che costringono il sottoscritto come chiunque altro a saltare qualcosa. Nello specifico toccherà purtroppo ai Minas Morgul, gruppo che attendevo molto ma che purtroppo deve cedere alla stanchezza dovuta anche a un non perfetto stato di salute e al pranzo (erano pur le cinque di pomeriggio). Il concerto al chiuso non consente di poter vedere i gruppi se non nell’area concerti, quindi nulla posso dire dei Minas Morgul. Si torna per la fine dei Fäulnis, anche questi praticamente saltati (ma letteralmente osannati dal popolo), aspettando gli Eis e soprattutto il secondo gruppo italiano della giornata, i Graveworm, di cui però viene annunciata la cancellazione dato un infortunio del batterista. L’organizzazione non perde tempo (‘tacci loro) e subito allunga le scalette degli altri gruppi per far suonare gli Arkona in orario, sostituendo immediatamente tutti i fogli indicanti il bill in giro.
- Eïs
Entra in campo l’ennesima band tedesca, in una sala che si va riempiendo sempre di più. Altro gruppo che non conoscevo, dedito a un black metal classico con qualche inserto sinfonico. Molto bravi dal vivo, non mi prendono però granché, soprattutto per l’originalità della proposta che mi è sembrata pari a zero. Gruppo da rivedere sugli album data l’ottima tecnica dimostrata sul palco, per ora vengono bocciati dal sottoscritto.
Setlist
- Galeere
- Durch lichtlose Tiefen
- Am Abgrund
- Winters Schwingenschlag
- Kainsmal
- Sternleite (by Eismalsott)
- Tiefenrausch (by Eismalsott)
- Mann aus Stein
- Arkona
Fra i gruppi da me più attesi, salgono sul palco i moscoviti Arkona, alla prova dopo i recenti cambi di line up che hanno portato Andrey Ischenko alla batteria. Dopo un sound check a suoni di folkloristiche grida sarde, forti del nuovo disco Yav appena uscito, gli Arkona sfornano l’oramai solita grande prestazione dal vivo. Di Masha, frontman della band, è inutile parlarne: salta, balla, si muove, sottolinea ogni passaggio vocale con una differente movimento, una vera furia della natura. Con la pelle di lupo sulla spalla, è una vera e propria icona russa. La sorpresa è invece Vladimir “Wolf” Reshetnikov, polistrumentista, che pare esser stato molto ben influenzato dalla vicinanza sul palco a Masha: anche lui sempre impegnato in movimenti e balli, molto più maturo delle precedenti volte in cui ho assistito a un concerto dei russi, in cui mi era sembrato freddino e timido.
Incredibilmente, non tutta la setlist è dedicata al nuovo Yav, da cui saranno estratti solo tre pezzi (Yav, Serbia e Na Strazhe Novyh Let), lasciando gli altri a vecchi successi come Goi, rode, goi! e la stupenda Stenka na Stenku, che chiuderà il concerto con un wall of death devastante, nella cui mischia vedrò telefonini, occhiali e teste rompersi a gogo. O per meglio dire, il concerto sarà chiuso dalla successiva Yarilo, durante la quale però sarò impegnato a riprendermi e a reggere scarpe altrui, distrutte durante quello che è stato sicuramente il pogo più devastante della serata.
Gli Arkona si confermano una grande band che, possiamo dire, sta avendo solo ora quel successo che obiettivamente meritava molto tempo fa.
Setlist
- Jav’
- Goi, rode, goi!
- Serbia
- Zakliatie
- Na Strazhe Novyh Let
- Slavsya Rus
- Stenka na Stenku
- Yarilo
- Borknagar
Non c’è attimo di pausa che già sul secondo palco sono pronti i Borknagar, ancora una volta senza vintersorg alla voce ma con quello che si rivelerà un ottimo sostituto, Athera (Chrome Division). Gli stessi presenteranno durante la loro ottima esibizione anche un pezzo tratto dall’album che uscirà quest’anno, di cui però mi è sfuggito il titolo.
La buona prova dei Borknagar viene però oscurata dall’attesa per i due gruppi seguenti, Finntroll e Kampfar. Buona parte del pubblico difatti sta aspettando questi due e si rivela piuttosto freddo nei confronti dei norvegesi.
- Finntroll
Che dire dei Finntroll? Questa era la quinta volta che li vedevo dal vivo. Amati fin dalla prima volta dal vivo (Total metal festival 2009), amati sui cd, con un Vreth sempre più sopra le righe, vero mattatore della serata, i Finntroll sono un gruppo che si deve adorare. Bellissimi come al solito coi costumi di scena del loro ultimo Blodsvept, senza quasi proferire parola mettono in fila successi vecchi e nuovo, con il pubblico (che conterà anche Babbo Natale e un angelo) che si scatena ad ogni pezzo. Il mio personale delirio è totale, la mia voce viene persa per cantare testi da me inventati al momento sui pezzi dei finnici.
Da segnalare anche Skrymer, sempre fra il pubblico prima del concerto, che si concede prima e dopo a foto e autografi, anche lui molto bello con la sua bombetta.
La setlist parte subito con due pezzi tratti da Blodsvept, Ett Folk Förbannat e Mordminnen. A ruota si va con mio grande piacere a quel capolavoro di Jaktens Tid con Slaget vid Blodsälv. Solo dopo questi primi tre pezzi Vreth si presenta, presentando Blodsvept. Si passa poi al penultimo Nifelvind con Under Bergets Rot, pezzo durante il quale Vreth propone tutto il suo repertorio di balletti e movenze molto gaie mentre il pubblico propone tutto il repertorio di cadute possibili e immaginabili (di cui tre assieme sulla mia caviglia). SI va ancora più indietro fino a Midnattens Widunder con Svartberg, per la mia enorme gioia. SI continua con När Jättar Marschera e, tanto per non escludere nessun album, Nattfödd, dall’omonimo album.
Per la successiva Skogsdotter viene chiamato un wall of death, tanto per finire il pubblico quando siamo ancora a poco più della metà. Si continua con Häxbrygd, Skövlarens Död, per poi passare alle favolose Jaktens Tid e Trollhammaren, durante la quale solo gli oggetti inanimati rimangono fermi.
Lo show dei Finntroll si chiude con Solsagan, e si porta via la mia voce, qualche osso e quasi tutte le mie energie, lasciandomi come al solito esaltato come un bambino. Piccola nota da fare all’audio, non perfetto nelle prime file, che poco ha messo in risalto la voce di Vreth e le tastiere di Virta. La giornata non è ancora finita. SI comincia a sentire puzza di zolfo, perché stanno per salire sul palco i Kampfar.
Setlist
- Intro
- Ett Folk Förbannat
- Mordminnen
- Slaget vid Blodsälv
- Blodsvept
- Under Bergets Rot
- Svartberg
- När Jättar Marschera
- Nattfödd
- Skogsdotter
- Häxbrygd
- Skövlarens Död
- Jaktens Tid
- Trollhammaren
- Solsagan
Scusate per le poche foto, ma fermo durante i Finntroll non riesco a stare.
- Kampfar
Partiamo col parlare di questo concerto dalla sua fine. I Kampfar sono appena andati via e io con gli altri due sopravvissuti del gruppo italiano ci ritroviamo dopo esserci un po’ dispersi durante il concerto. La faccia è questa qui, il commento uno solo: che mostri. L’ora successiva è passata a elogiare quello che è stato sicuramente la più bella prova a cui io abbia mai assistito e non parlo di show ma di musica, di fottuto black metal. Molte band black ho visto ma solo una mi ha fatto assaporare davvero il sapore degli anni 90, sentire le puzza di zolfo e guardare satana negli occhi: I Kampfar. “Do you want to hear some more than Humpaa humpaa?” chiede ironico Dolk, riferendosi ai Finntroll che l’avevano appena preceduto.
Non si tratta solo di musica, ma di attitudine, di presenza scenica. Non c’è face painting, catene o borchie: solo quattro musicisti e un muro di suono di puro acciaio che riversa tutto il suo disgusto sul mondo. Una chitarra, un basso, batteria e voce che sembrano quaranta musicisti l’uno, per quanta pienezza riescono a dare al suono. Black metal con pochissimi compromessi, con Dolk che sfoggia prima una maglietta dei Bathory e poi, oltre al famoso tatuaggio con il logo della band sullo stomaco, un altro tatuaggio rappresentante un satiro. Molte signorine penso abbiano fatto pensieri birichini su quest’ultimo, e non per niente dietro al palco fa capolino fisso Masha. La prestazione del cantante è eccezionale, passando da voce pulita a sporca in maniera ineccepibile.
La setlist inizia naturalmente con Mylder, ouverture dell’ultimo lavoro Djevelmakt (“Helvete! I forbannede! Helvete! I som er beredt!”), da cui saranno anche tratte Swarm Norvegicus e Our hounds, Our legion. Per il resto lo show andrà a pescare da tutta la discografia dei norvegesi, con Troll, død og trolldom tratto da Fra Underverdenen, Altergang tratto da Mare, Ravenheart da Kvass, per arrivare all’assurda per quanto perfetta Hymne, che era presente addirittura nella prima demo del gruppo del 1995, anche se, come ricorderà lo stesso Dolk, scritta nel 1994.
Uno show totale, il mio consiglio è: non lasciatevi scappare per nessuna ragione al mondo un concerto dei Kampfar.
Setlist
- Mylder
- Troll, død og trolldom
- Swarm Norvegicus
- Altergang
- Ravenheart
- Hymne
- Our hounds, Our legion
Si chiude così il primo giorno del Ragnarök, fra ottimi gruppi, buona birra e un giro notturno nel campeggio che mostra quanto possano diventare molesti i tedeschi da ubriachi. La stanchezza però si fa sentire e alla fine il gruppo italiano va a dormire, in fondo siamo ancora a metà.
Sabato 26 Aprile:
Dopo una sana colazione e una foto con Trollfest vaganti, arriviamo a mezzogiorno ed è già tempo di musica.
- Firtan
Si parte con i Firtan, gruppo underground giovanissimo (nati nel 2010 con il primo disco in uscita a giorni) ma che attendevo dato le ottime anteprime rilasciate. naturalmente non vasto ma affezionato, non viene deluso da una buona prestazione dei giovanissimi anche d’età musicisti.
Unica pecca, oltre la chiara ancora scarsa attitudine a tenere il palco, è l’uso di sintetizzatore per le parti di tastiera presenti nei pezzi. Un tastierista dal vivo avrebbe dato sicuramente maggiore vita alla prestazione, che comunque rimane buona.
Gruppo da tenere d’occhio.
Setlist
- Gezeiten
- Angst
- Ewig Vergangen
- Strom der Tränen
- Waldgeflüster
Gruppo da me non conosciuto, i Waldgeflüster sono una one man band tedesca capitanata da Winterherz. Anche loro dediti a un pagan/black metal con qualche inserto melodico, probabilmente puntano molto sui test in tedesco, canticchiati dal pubblico che si fa più ampio. SI rimanda ogni valutazione ai dischi, dal vivo personalmente mi sono sembrati un po’ banalotti.
Setlist
- Karhunkierros
- Mit welchen Fesseln
- Kapitel III: Fichtenhain
- Odroerir
E’ il suono del corno proveniente dal pubblico a introdurre gli Odroerir, il gruppo forse più folk del festival. Cornamusa, violino, abiti medievaleggianti e musica corale sono gli ingredienti della musica dei tedeschi, nelle cui fila è da segnalare la presenza di Fix (co-fondatore dei Menhir), che sembra essere il maggior compositore del gruppo, e di Marley, che si esibirà anche con i XIV Dark Centuries.
Tutti i componenti tranne il bassista partecipano ai cori, con pezzi in cui si possono ascoltare anche tre voci contemporaneamente, sporca, pulita e femminile. Gruppo molto tranquillo ma molto valido, d’altronde la provenienza dalla Turingia è un marchio di qualità innegabile. I musicisti sembrano essere tutti molto validi (il cornamusista passerà alla chitarra a metà tanto per dire) ma nessuno viene esaltato più degli altri, la coralità è la parola d’ordine. Da segnalare l’ultimo pezzo, Menosgada, molto heavy che si concluderà con un lungo solo di chitarra.
Setlist
- Hrungnirs Herz
- Des Thors Hammer Heimholung
- Skadis Rache
- Menosgada
- Skalmöld
“Incredibile, sto vedendo veramente gli Skalmöld.” Questo è il pensiero che mi attraversa quando salgono sul palco gli islandesi. Una maledizione aleggiava su di me e sugli Skalmöld, che non avevo mai visto dal vivo nonostante fossero passati più volte dall’Italia negli ultimi anni, in concerti in cui ero presente ma in cui non ero mai riuscito a vederli, per miei ritardi o altri casini.
Questa volta invece va tutto bene e posso apprezzare l’ottima resa live degli islandesi, che si presentano al risparmio senza alcun tipo di grafica alle loro spalle, minimalisti all’osso. Molta gente sembra non apprezzarli e inizialmente lascia la sala dopo gli odroerir, sala che si riempirà solo a metà dell’esibizione. La forza degli Skalmöld sta sicuramente nei bei cori, coinvolgenti ed eseguiti alla perfezione, e nelle capacità tecniche de Baldur Ragnarsson, sia vocali che alla chitarra.
Alla fine dell’esibizione, perfettamente portata a termine, il termine da me coniato per definire la band sarà di Kampfar intellettuali, per sottolineare l’ottima tecnica propria anche dei norvegesi che, se nei Kampfar è messa al servizio del male, qui pare essere messa al servizio della ricerca della tecnica e delle coralità.
Setlist
- Heima (intro)
- Árás
- Gleipnir
- Fenrisúlfur
- Miðgarðsormur
- Narfi
- Kvaðning
Gli Skalmöld cominciano quella che sarà un vero e proprio tour de force dell’underground. In serie si esibiranno infatti Adorned Brood, XIV Dark Centuries, Finsterforst, Fjoergyn, Stormlord e Trollfest. Ma siamo qui per questo no? Quindi Birra e sfruttamento massimo delle pause, ecco la formula per superare indenni la giornata.
- Adorned Brood
Gli Adorned Brood sono uno di quei gruppi che hanno ricevuto a mio parere solo una minuscola parte del successo che meriterebbero. In giro dal 1993 con un’enorme discografia alle spalle e, tanto per non fare i nostalgici, due ultimi ottimi dischi (Hammerfeste, 2010 e Kuningaz, 2012).
In Germania sembrano essere abbastanza apprezzati, in quanto la sala si riempie e il pubblico dimostra di conoscere i pezzi, spesso incentrati su ottimi testi (oltre che su un ottimo uso degli strumenti folkloristici). Dal vivo la resa dei pezzi è buona, con un audio accettabile ma non perfetto. Molto coinvolgenti e con una buona padronanza del palco, ottimi anche dal vivo dal punto di vista degli strumenti acustici, puntano la loro esibizione sui già citati omonimi Hammerfeste e Kuningaz, lasciandosi andare a pezzi più vecchi solo con Am Grunde des Meeres (da Noor, 2008) e 7 Tage (da Heldentat, 2006).
La loro esibizione si chiude al secondo, quasi non lasciando tempo di salutare il pubblico, dimostrando un’ossessione per i tempi che creerà disagi successivamente, soprattutto durante l’esibizione dei Finsterforst e degli Stormlord. Ma tempo al tempo.
Setlist
- Intro
- Hammerfeste
- Pagan Knights
- Am Grunde des Meeres
- Call of the Wild
- Kuningaz
- 7 Tage
- Victory or Valhall
- Death in disguise
- XIV Dark Centuries
E’ in una sala oramai strapiena che entrano in campo i XIV Dark Centuries, altro gruppo con esperienza decennale, sempre proveniente dalla Turingia. La band si presenta con un’ottima scenografia, fatta di scudi e spade a terra a riproporre chiaramente un campo di soldati, completo di torce infuocate e quattro soldati in armatura che a tratti renderanno davvero epica la giornata combattendo fra loro durante l’esibizione.
Tutta l’esibizione del gruppo potrebbe chiudersi qua: cosa c’è di più bello di vedere una battaglia vera mentre sullo sfondo del buon pagan/folk metal riecheggia? Dal punto di vista musicale, la band ripropone bene i suoi lavori su disco, evidenziandone pregi e difetti, con dei tratti strumentali a volte troppo strascinati affiancati a parti davvero epiche e molto azzeccate. Il pubblico apprezza, inneggiando a più riprese alla band e mostrando orgoglioso una bandiera della Turingia. Un po’ d’orgoglio regionale insomma, che a noi italiani può sembrare esagerato ma che, se si pensa che moltissimi gruppi tedeschi puntano moltissimo sui testi in tedesco, appare giustificato.
Come accade da noi con gruppi come Draugr, Folkstone, ecc… in cui i cantati in italiano valorizzano fortemente la band, così accade in Germania per tutte queste band.
Setlist
- Schlachtgesang
- Skithingi
- Runibergun
- Brennen soll das alte Leiden
- Runenraunen
- Zeit der Rache
- Svava
- Bragarful
- Finsterforst
Non c’è un attimo di respiro che subito i Finsterforst entrano in campo. Proveniente dalla foresta nera (black forest metal, così si autodefiniscono), gruppo da me adorato per quello che ritengo il loro capolavoro, … Zum Tod Hin, di cui purtroppo non potrò ascoltare nessun pezzo durante il live, concentrato sull’ultimo lavoro della band, Rastlos. Gruppo dal non facile ascolto fautore di un black/folk metal a tratti ambient (per fare un paragone, a tratti potrebbero ricordare i Moonsorrow) con un minutaggio medio che si aggira intorno ai 10 minuti e più.
I miei dubbi sulla resa live dei pezzi vengono invece spazzati via da una gran bella prestazione di tutti, che, seppur non riesca a raggiungere i livelli del disco, com’era prevedibile, fa risultare tutti i pezzi molto godibili. I FInsterforst dimostrano una sorprendente attitudine dal vivo per un gruppo del loro genere, scherzando col pubblico e, durante un pezzo di solo basso e chitarra, arrivano a sedersi tutti e farsi una birra amichevolmente mentre i loro amici suonano, provvedendo a far bere anche quest’ultimi.
Insomma i Finsterforst tirano fuori una bella prestazione, che si conclude però malamente: mentre i 7 stanno cercando di farsi la classica foto col pubblico dal palco, il sipario si chiude, lasciando tutti con l’amaro in bocca. L’organizzazione poteva anche aspettare 30 secondi, non moriva nessuno.
Setlist
- Nichts als Asche (Rastlos)
- Lauf der Welt (Weltenkraft)
- Försterhochzeit (Urwerk)
- Des Waldes Macht (Rastlos)
- Ein Lichtschein (Rastlos)
E’ a questo punto che ci accorgiamo di quello che sta accadendo fuori (ricordo, il concerto era al chiuso), ovvero il diluvio universale. Tocca correre alle tende per controllare il tutto, fra tedeschi che come al solito non se ne fregano niente del tempo, abituati immagino a passeggiare senza maglietta sotto un temporale (o più probabilmente, ubriachi).
Il campeggio è una piscina, ma fortunatamente la mia oramai inseparabile tenda, seppur fosse praticamente una barca, è perfettamente asciutta. Recuperato allora il mio mantello dell’invincibilità alla pioggia, ne approfittiamo per cambiarci dagli abiti inzuppati e farci una birra. Insomma, quando torniamo i Fjoergyn hanno praticamente finito. Peccato, ma il lato positivo è che riusciamo a piazzarci nelle prime file per lo show degli Stormlord.
- Stormlord
Prima fila e bandiera italiana in mano, siamo pronti per sostenere il metallo italiano di grande livello. Gli Stormlord, reduci da due grandi album (Mare Nostrum e Hesperia, quest’ultimo da me inserito nei migliori album dell’anno scorso), dimostrano ancora una volta una grande attitudine da palco, risultando alla fine i migliori della duegiorni sotto questo profilo (tralasciando i veri e propri show di Trollfest e XIV Dark Centuries). Nessuno dei romani sta fermo, tutti si muovono e sottolineano ogni passaggio con il dovuto coinvolgimento.
Il soundcheck, leggermento prolungato rispetto alla media, risulta esilarante per noi italiani perché fatto a suon di blasfemie (“Porco Dio, lo suoni sto rullante?”) e mi consente di beccare altri due italiani nel pubblico, che alla fine toccheranno secondo i miei calcoli 12 presenze in tutto.
E’ una ragazza vestita da sacerdotessa (o da Venere?) ad introdurre gli Stormlord, che salgono sul palco sulle note di Aenas, opener del loro ultimo disco, Hesperia per l’appunto. Luci soffuse e maschere, l’impatto è molto positivo. Si continua tornano indietro nel tempo a The Gorgon Cult (2004) con Dance of Hecate,per tornare all’ultimo con My lost Empire. Il finale è tutto invece dedicato a Mare Nostrum, con la tripletta And The Wind Shall Scream My Name, Legacy of the snake e Mare Nostrum (“Carthago Delenda est!” è il grido che il pubblico viene chiamato a sostenere).
Al solito menzione speciale deve andare (senza nulla togliere agli altri) al basso di Francesco Bucci, vero mattatore della serata, chiamato anche a incitare il pubblico e che ci omaggerà prendendo la bandiera italiana e tenendola sul palco fino a fine concerto.
Si chiude il concerto degli Stormlord, applauditi dal pubblico e anche loro colpiti dalla fretta del sipario, che non consente gli adeguati saluti. E neanche possiamo aspettarli sotto al palco, perché non c’è attimo di respiro e dall’altra parte dello stage scalpitano già i Trollfest.
Setlist
- Intro
- Aenas
- Dance of Hecate
- My lost Empire
- And The Wind Shall Scream My Name
- Legacy of the snake
- Mare Nostrum
- Trollfest
A voler esser onesti, il mio live report sui Trollfest potrebbe concludersi in una frase: Ma che cazzo ho visto? E’ esattamente questo il pensiero alla fine dei quaranta minuti concessi ai norvegesi. Sicuramente non un concerto (o per lo meno, non solo un concerto). Penso che anarchia sia il termine più adatto allo show dei Trollfest, un concentrato di pazzia pura, alcolismo e assenza di limiti di sorta. Cerchiamo di ricostruire i fatti ma vi invito davvero ad andare a vedere dal vivo sti pazzi appena possibile. Io l’ho fatto due giorni dopo, e, in un ambiente completamente diverso (eravamo in venti nella seconda occasione), hanno fatto lo stesso casino.
Iniziamo dal soundcheck, che ognuno dei Trollfest prova a fare nella maniera più cretina e divertente possibile, superando in classifica gli Alestorm del Fosch Fest 2013. I costumi sono quelli del video di Kaptein Kaos arricchiti da chicche imperdibili, come Trollmannen con pipa alla mano e soprattutto con Dr. Leif Kjønnsfleis (Dead Trooper) che esibisce un copricapo che spara un laser verde dalla testa. Non so se si intuisce l’epicità della cosa. Il bello è che, tolti i camici, alcuni Trollfest mostreranno altri costumi sotto questi, ed altri ancora ne indosseranno durante il live. Menzione speciale in questo senso a Jon Eirik Bokn, (batterita dei Dead Trooper), ufficialmente percussionista live dei trollfest ma chiamato essenzialmente a fare cavolate sul palco. E così si passerò da un costume alla Dottor Octopus che spara liquidi (di dubbia natura) dai tentacoli ai giochi semi erotici con una donna (anch’essa di dubbia natura) che mostrerà le sue gioie sul palco. Altro special guest sarà quello che poi scopriremo essere il cantante live dei Borknagar Athera travestito da Abbath. Non mi sarei stupito fosse salito sul palco il vero Abbath a quel punto.
La scaletta, fregandosene altamente del tour a supporto di Kaptein Kaos, prende a piene mani da tutti gli album del gruppo, proponendo anche la bellissima cover di Britney Spears Toxic (durante la quale Jon Eirik si presenterà con tanto di travestimento alla Britney) e concludendo con Helveteshunden Garm e un’invasione di palco in cui succede di tutto, compreso uno stage diving di Lodd Bolt.
Insomma, i Trollfest confezionano uno show assurdo, col pubblico che non riesce a stare fermo di fronte a una tale anarchia sul palco. Personalmente ne esco distrutto e fra riposo e cena dovrò saltare anche gli Agrypnie. Il festival oramai volge al termine ma riserva ancora sorprese. Dopo il meritato riposo è l’ora degli imperium Dekadenz.
Setlist
- Kaptein Kaos
- Vulkan
- Brakebein
- Brumlebassen
- Toxic
- Der Jegermeister
- Ave Maria
- Helveteshunden Garm
- Imperium Dekadenz
Davanti a un vastissimo pubblico (il più trve della serata) gli Imperium Dekadenz portano il loro black metal dai suoni più classici, risultando probabilmente il gruppo più true norwegian black metal del festival. Ottima prestazione dal vivo, cattivi e con i giusti suoni sporchi a sottolineare le loro sonorità, probabilmente in altro ambito avrebbero riscosso maggiore successo col sottoscritto, ma purtroppo ogni band black del Ragnarök deve confrontarsi con i Kampfar.
Se i kampfar erano pugni d’acciaio nello stomaco, gli Imperium Dekadenz sono pugni dati coi guantoni, senza mai colpi bassi. Insomma un black metal molto ben eseguito ma che a me è parso senza cuore.
Nota alla maglietta portata da un culturista di 2 metri pelato, recante la scritta “Who needs a God when you have got Satan”. Come dicevo, il pubblico era sicuramente il più kvlt della serata.
Setlist
- Intro
- Der Dolch im Gewande
- Aue der Nostalgie
- Schwarze Wälder
- Striga
- Tränen des Bacchus
- Manegarm
Una seconda scappata al campeggio per controllare lo stato della tenda (la pioggia nel frattempo era finita) mi fa notare che oramai i controlli dei braccialetti sono andati via e che il campeggio si va riempiendo di gente d’ogni sorta, ad arrivare a ragazzini con monopattini e abbigliamento alla Justin Bieber.
Ma torniamo alla musica. Sono le 21:20 quando i Manegarm iniziano il loro Show. La grande prova a cui erano chiamati gli svedesi era un live senza violinista, oramai mancante da più di un anno. Se sul cd la prova era stata tuttavia convincente, dal vivo mi chiedevo come avrebbero reso i pezzi più vecchi, spesso sostenuti da bellissimi riff di violino.
La risposta è né bene né male. Semplicemente i Manegarm senza violino sono un altro gruppo dal vivo. Se i pezzi in cui anche originariamente mancava il violino sono resi alla perfezione, i pezzi in cui questo era presente sono stravolti, nonostante l’uso a tratti di suoni registrati. Loro stessi sembrano molto più statici dell’ultima volta in cui li avevo visti (Fosch 2011). Pochissime parole scambiate col pubblico, molto statici, si rivelano insomma una mezza delusione. Mezza perché la qualità dei pezzi è indubbia e non permette di dare una valutazione completamente negativa del loro lavoro, che però è portato sul palco in maniera davvero piatta.
Si chiude anche il loro concerto di fretta, stavolta senza molti rimpianti. L’augurio per i Manegarm è di allargare la formazione, alleggerendo il carico sui singoli e permettendo una maggiore mobilità sul palco. E pigliatevi un violinista cazzo!
- Satyricon
E siamo arrivati all’ultimo grande gruppo della serata. I Satyricon, che personalmente non ho mai digerito più di tanto, sfornano una bella prestazione anche loro a metà, esattamente per il motivo opposto detto per i Manegarm. Se nel caso degli svedesi avevo visto ottimi pezzi portati sul palco in maniera non eccelente, nel caso dei Satyricon l’esecuzione è perfetta e, seppur puntando tutto sulla musica, accompagnata anche da una buona presenza scenica. Il problema sono i pezzi, talvolta troppo strascinati e in generale, a parte poche perle (generalmente tratte dai pezzi degli anni 90), poco coinvolgenti.
Naturalmente questo è il mio giudizio, che non li ho mai digeriti neppure su disco. Fortunatamente anche miei compagni di avventure danno più o meno lo stesso giudizio, parlando da chi invece ha molto apprezzato i lavori su disco.
Setlist
- Voice of shadows (Satyricon, 2013)
- Hvite krists død (The Shadowthrone, 1994)
- Now, Diabolical (Now, Diabolical, 2006)
- Black crow on a Tombstone (The Age of Nero, 2008)
- Our world, it rumbles tonight (Satyricon, 2013)
- Nocturnal Flare (Satyricon, 2013)
- Forhekset (Nemesis Divina, 1996)
- Nekrohaven (Satyricon, 2013)
- The infinity of Time and Space (Satyricon, 2013)
- The Pentagram burns (Now, Diabolical, 2006)
- Mother North (Nemesis Divina, 1996)
- Fuel for hatred (Volcano, 2002)
- K.I.N.G (Now, Diabolical, 2006)
Il festival volge al termine ma ancora non è finito. Mancano due gruppi “minori”. I primi purtroppo vengono quasi totalmente saltati per un giro al merchandising che ancora non era stato effettuato. Ricchissimo, con davvero chicche per cui mi trattengo a stento. Ne approffitiamo anche per un altro paio di foto. Quando torniamo on stage, lo show dei Todtgelichter è quasi volto al termine. Per quello che ho ascoltato il gruppo mi è sembrato fautore di una specie di depressive black metal sperimentale, da ripassare. A chiudere il Ragnarök ci pensano però i Negator.
- Negator
Altro gruppo che non conoscevo e altra graditissima sorpresa, i Negator, tra le cui fila milita Nachtgarm, cantante per due anni dei Dark Funeral, ci propongono un black metal veloce, potente e di ottima fattura. Nessuna pausa e nessuna pietà, con una batteria velocissima, mi entusiasmano non poco, anche se come originalità anche qui rasentiamo lo zero.
Da notare il pubblico, che resiste fino all’ultimo, di più dell’organizzazione che comincia a smontare il secondo palco durante l’esibizione di quest’ultimi (tutta questa fretta davvero, non la capisco). Se vi piace il black metal senza compromessi, i Negator fanno per voi.
Setlist
- Epiclesis
- The Last Sermon
- Feuersturm
- Nergal, the raging King
- Carnal Malefactor
- Gloomy Sunday
- Serpents Court
- Atonement in Blood
- Eisen wider Siechtum
- Der Infanterist
E con i Negator si chiude il Ragnarök Festival 2014. Cosa dire a conclusione? Ribadisco innanzitutto ciò che ho detto nell’introduzione, festival dall’organizzazione perfetta, fiscale nei tempi, che non mostra alcun punto debole. Un bill da paura, vario e di livello, che ha mostrato belle sorprese e pochissime delusioni, oltre che headliners di assoluto livello. Alla fine i Kampfar vincono sicuramente, seguiti a ruota dai Trollfest.
Dopo la classica notte insonne in campeggio, passata intorno al fuoco di due gruppi di tedeschi (il primo gruppo verrà abbandonato bruscamente dopo che un ubriaco, cadendo sul fuoco, rischierà di incendiare il campeggio), bevendo e discutendo di musica e di tante altre belle cose, facendo ascoltare orgogliosi i Draugr e offrendo vino fino a far dimenticare il tedesco a un tedesco, il festival finisce davvero anche per noi. E’ ora di tornare a casa, contare i lividi (pochi a dire il vero), bere nostalgiche birre di fronte al pc e cominciare a scrivere questo enorme live report.
Un ringraziamento a tutto il gruppo italiano che è stato protagonista del Ragnarök, un ringraziamento in particolare a Riccardo per avermi regalato tre peroni e una bandiera italiana, il pensiero quando ritorno da un festival è sempre uno solo: La gente non sa cosa si perde a non essere metallari. Alla prossima!
A cura di Federico “Jezolk” Lemma
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