Quanta musica ci siamo persi?
Da buon amante della musica, sovente, non disdegno l’ascolto casuale di brani o interi album che l’algoritmo di Youtube ci suggerisce mentre facciamo le nostre ricerche sul noto portale internet. Ovvio, il più delle volte, dopo pochi minuti di ascolto, chiudo il file in riproduzione non ritenendolo degno di ulteriore attenzione.
Talora, invece, ascolto tutto l’album, “ringrazio” Youtube per il consiglio, ma dopo dieci minuti ho già dimenticato cosa avessi ascoltato nell’ultima mezz’ora. Ma, a volte, e neanche così raramente, nonostante abbia all’attivo diverse migliaia di album ascoltati e vivisezionati, rimango ancora favorevolmente impressionato da dischi datati (mai usare l’aggettivo “vecchio/a” quando si parla di un prodotto musicale… andrebbe vietato con dettame costituzionale) o recenti, prodotti da artisti di cui ignoravo anche l’esistenza o, almeno, le capacità. Pochi giorni fa, addirittura, per la prima volta la “favorevole impressione” di cui sopra è stata sostituita da una vera e propria folgorazione: Youtube mi consiglia l’album “Frost Music” degli americani “The Frost”, primo dei loro tre album e ne resto incantato, non esito a definirlo (per i miei gusti) un capolavoro della musica rock passato sciaguratamente inosservato.
Rimando ad un altro articolo la recensione dettagliata dell’album di cui ho appena accennato perchè
in questo articolo mi preme parlarvi di altro.
Vi starete chiedendo – come io mi sono chiesto – “possibile che ciò che tu affermi essere un capolavoro sia passato inosservato? Posa il fiasco, stai vaneggiando!”. E’ vero, sono parole forti le mie! E’ come che stia affermando che ci siano una “Pietà” di Michelangelo o una “Divina Commedia” chiusi in qualche cantina o scaffale a prendere polvere, opere magari schifate dagli stessi possessori!
Beh, la mia risposta è: “perchè no?”, in fondo i “Bronzi di Riace”, prima di essere repescati casualmente nei fondali al largo delle coste calabresi nel 1972 (l’altro giorno, praticamente) e rivelare al mondo la loro magnificenza, hanno fatto compagnia ai pesci per oltre due millenni. Quindi, perchè, pur senza scomodare le ire di Nettuno, qualcosa di simile non può essere accaduta a qualche lavoro discografico? E, difatti, è successo!
Avete mai sentito parlare di Sixto Rodriguez? Molti di voi, probabilmente, no, altri (come il sottoscritto) l’hanno sentito nominare e iniziare ad apprezzare certamente non prima del 2012, anno in cui venne realizzato il documentario Searching For Sugar Man (vincitore, l’anno seguente, del Premio Oscar per il miglior documentario) che narra le vicende storiche e artistiche del musicista.
Ebbene, il nostro Rodriguez, americano di Detroit (casualmente la stessa città di cui erano originari i The Frost di cui ho parlato poc’anzi), pubblicò due album folk-rock di stampo Dylaniano, con qualche sconfinamento nella psichedelia, tra il 1970 e il 1971. Lavori forse un po’ acerbi e ingenui nella produzione (rivedibili le incursioni psichedeliche), ma sublimi nella costruzione delle melodie e nei testi taglienti e ispirati. In patria i due dischi non ebbero alcun successo, in Europa non arrivarono neanche per sbaglio, e così, il nostro eroe, presto si convinse a lasciar perdere con la carriera musicale tornando a fare il muratore e l’operaio per tirare avanti la famiglia e proseguire ai corsi serali gli studi dell’altra sua grande passione, la filosofia, per cui ottenne la laurea nel 1981.
Ebbene, gli anni per lui passarono tra il duro lavoro, lo studio universitario e le battaglie per i diritti sociali, fino a quando, nel 1997, una delle tre figlie di Rodriguez, ritrovandosi a navigare su internet (una novità per l’epoca) per una delle prime volte nella sua vita, digitò il nome del padre su un motore di ricerca (pensate che Google venne lanciato solo nel settembre di quello stesso anno) e fece una scoperta incredibile: in Sudafrica le canzoni di Sixto erano uno dei simboli della lotta
contro l’apartheid e il cantautore era conosciuto più di Elvis e dei Beatles tanto da aver vinto un disco di platino e vari altri riconoscimenti, ottenendo una discreta notorietà anche in Australia e Nuova Zelanda.
Poichè in Sudafrica (come nel resto del pianeta) non era possibile trovare in alcun modo notizie biografiche su Sixto Rodriguez, attorno alla sua figura si creò una serie infinita di leggende: alcune lo volevano morto suicida sul palco durante un concerto, altre millantavano fosse rinchiuso in un manicomio. Per far luce sul destino del cantautore americano, due fan sudafricani misero online un sito internet nella speranza che qualcuno li contattasse, fornendo notizie certe sul loro idolo. Il caso volle che proprio la figlia di Rodriguez si imbattè in quel sito e da lì alla realizzazione del film documentario che ne ha narrato la vita e la riscoperta fortuita il passo è stato breve (oddio, non proprio brevissimo, 15 anni non sono pochi, ma meglio tardi che mai).
Per chi se lo stesse chiedendo, sì: in tutti quegli anni, nonostante la censura imposta dal governo del Sudafrica su molti suoi brani, le royalties relative ai suoi lavori sono state regolarmente pagate dall’ente preposto sudafricano e, no, Sixto Rodriguez di quei soldi non vide un centesimo nè si sa chi li abbia materialmente incassati. Fatto sta che, dopo aver ripescato l’artista Sixto Rodriguez (come i Bronzi) e, soprattutto, dopo l’uscita del documentario, come in ogni favola che si rispetti, Rodriguez, seppur in età avanzata, ha potuto vedersi riconosciuta parte di soldi, notorietà e credito artistico che avrebbe meritato prima e, fino a pochi mesi fa, ha girato il mondo in tournée, spesso sold-out, dove ha potuto proporre la sua musica.
Ecco, consigliandovi vivamente di guardare il bellissimo documentario Searching For Sugar Man, prendo questa storia ad esempio del fatto che è ancora del tutto possibile trovare in giro capolavori e artisti perduti. Forse non saranno capolavori per tutta la critica e per tutto il pubblico, ma potrebbero essere comunque capolavori per il singolo ascoltatore che andava cercando proprio quel tipo di musica.
Ma ora chiediamoci perchè siano potute accadere vicende come quella intercorsa al povero Sixto Rodriguez e se, potenzialmente, ve ne siano infinite altre. In fondo, tutti sappiamo (e accettiamo più o meno supinamente) come funziona il mercato musicale:
- Fase A) Un artista compone la sua musica e cerca di inciderla;
- Fase B) Inciso l’album, con o senza l’aiuto di una casa discografica, si passa alla fase della
promozione: più si investe in promozione, maggiori saranno le possibilità di successo commerciale
del lavoro; - Fase C) Ora arriva il difficile, perchè bisogna ingraziarsi le simpatie di stazioni radiofoniche, media
in generale e promoter (chiamateli anche “squali”, difficilmente si sbaglia): i modi per portare a
compimento questa fase sono molteplici… nessuno degno di essere preso eticamente ad esempio
perchè tutti profondamente squallidi! - Fase D) Cavalcare l’onda del momento (qualora la Fase C abbia avuto successo) e cercare di bissare
il prima possibile il riscontro ottenuto.
Ma il processo che vi ho descritto è arte? Esclusa la prima fase, quella nobile della realizzazione dell’opera d’arte, il resto è solo business, mercimonio, becero guadagno (beato chi ce l’ha, intendiamoci, pecunia non olet) ma l’arte vera è altro, l’arte è creazione non vendita.
“Quindi tutti quelli che hanno successo fanno solo business ma non fanno arte?”
No! Assolutamente: la verità è che tanti artisti con la “a” maiuscola hanno fatto bastimenti di denari, meritati fino all’ultimo centesimo, perchè sono stati bravi ad allineare le loro illuminate doti artistiche con una forbita visione economica! Ma c’è di più, purtroppo: tanti pessimi “artisti” (grazie soprattutto al loro entourage) sono stati bravissimi a vendere il loro scarso prodotto più di quanto hanno fatto altri che artisticamente avrebbero meritato miglior fortuna.
Non c’è scandalo alcuno: ogni giorno acquistiamo ingenuamente pessimi prodotti di consumo che i media ci hanno descritto come prodigiosi, quindi, perchè lo stesso non dovrebbe valere per l’arte? Da queste considerazioni risulta chiaro come, effettivamente, non ci sarebbe nulla di strano a scoprire che qualcosa di buono, se non ottimo, possa giacere ancora nascosto nel cassetto di una scrivania o negli infiniti gangli della rete, o perchè è sfuggito alla critica (spesso impreparata o
disinteressata a capire il reale valore di una creazione artistica, mossa da ben altri obiettivi), o perchè non ha passato la prova del sapersi vendere o, più semplicemente, perchè l’artefice della creazione artistica (sia esso un disco, un libro, un quadro o qualsiasi altra cosa) non ci ha creduto abbastanza, gettando la spugna troppo presto.
Credo che noi amanti della musica e dell’arte in generale abbiamo una sorta di dovere morale che ci impone di impegnarci nella riscoperta di ciò che è andato perso, un po’ come fanno gli archeologi e,non dimentichiamoci che ora abbiamo una potente arma che può aiutarci nelle nostre ricerche, la state utilizzando proprio ora leggendo queste righe: internet.
Se riuscissimo quindi ad arrenderci a questa consapevolezza e ad andare oltre ciò che ci passano (imponendocelo) le solite radio e i mezzi di comunicazione di massa, accettandolo come un vangelo; se ci armassimo di un po’ di quella pazienza che è l’architrave su cui si base la ricerca; se ci abbandonassimo più spesso all’istinto, acquistando un CD che ci strizza l’occhio o cliccando su un file che ci ispira, degnandolo di un ascolto e se, soprattutto, affrontassimo il nostro viaggio alla scoperta dell’arte senza paraocchi e limiti autoimposti, forse ognuno di noi troverà in rete o in negozio o tra gli LP dei nostri genitori abbandonati in cantina, quel disco che è il “nostro” capolavoro, dove è incisa la musica per come avremmo sempre voluto ascoltarla. Non è scritto da nessuna parte che la musica che risuona meglio con la nostra anima sia quella che passano alla radio oppure quella che continuiamo ad ascoltare sin da quando siamo ragazzini per rispettare una sorta di legame affettivo che si crea tra noi e i nostri artisti preferiti: la rivoluzione della scoperta è alla portata di tutti e può sconvolgere anche le nostre più profonde convinzioni, ma è un piacevole sconvolgimento.
Quindi, e concludo, ripropongo la domanda del titolo di questo articolo/riflessione: “Quanta musica
ci siamo persi?”
Tanta! Troppa! Ma, fortunatamente, in buona parte è ancora lì, nei meandri della rete internet o in qualche polveroso negozio di dischi, aspetta solo di essere ripescata dalle sabbie mobili del tempo come avvenuto con i “Bronzi di Riace”. Se poi il “capolavoro” che saremo in grado di riportare in vita resterà tale solo per noi, poco importa: la musica la ascoltiamo unicamente con le nostre orecchie, così come i quadri li osserviamo unicamente con i nostri occhi, gli odori li percepiamo con il nostro naso e la pasta la mangiamo con la nostra bocca… sarà poi il nostro cervello – e solo lui – a stabilire per noi cos’è buono e cosa non lo è!
Cercare, trovare, assimilare e andare oltre, questa è sempre stata la sfida principale e più illuminata
del genere umano: fatti non foste a viver come bruti, ma per seguire virtute e conoscenza.
Sono Saverio Chiodo, musicista per diletto e musicologo per studi (ma non per professione). Autore del libro “Woodstock: Alba&tramonto” edito da Arduino Sacco Editore nel 2010. Genere preferito: la musica, nel senso che per me esistono solo la musica buona e quella nociva!!!