MORBID ANGEL – Altars of Madness

MORBID ANGEL – Altars of Madness

E’ un abusato luogo comune tra gli ascoltatori di musica (non solo estrema) che “il primo di ogni gruppo è sempre il migliore“. Non è da escludere che questo modo di dire abbia avuto origine con dischi come “Altars of madness”. I Morbid Angel sono originari di Tampa (Florida), hanno saputo inventare quel connubio tra thrash e black chiamato “death-metal-con-i-contro-coglioni” che tanto seguito avrebbe avuto negli anni a venire. In definitiva, la band ha sostanzialmente creato uno stile che sarebbe poi diventato “trend”

Nascono nel 1984 per mano del chitarrista Trey Azaghtoth, e raggiungono la notorietà nel 1989 con questo disco d’inaudita energia e ferocia, meravigliosamente morboso e schizofrenico. Nè il successivo, sulfureo, “Blessed are the sick“, nè il pur splendido “Covenant” sarebbero mai arrivati ai livelli disumani di “Altar of madness“. Rimane vero che la loro discografia non è particolarmente incisiva, in quanto fin troppo intervallata da episodi sconclusionati come “Formulas Fatal To The Flesh. Ma cosa c’è di tanto bello in questo disco? Anzitutto, il songwriting che riescono ad inventare i nostri, che si richiama vagamente a quanto fatto dagli Slayer in “Hell Awaits”: se per la band di Tom Araya quella è stata una riuscitissima parentesi nella loro carriera thrash-hardcore, per i Morbid Angel è il manifesto di un’identità di ferro.

Non starò a descrivere con stupidi aggettivi il fascino morboso di “Immortal Rites”, oppure la furia enigmatica di “Maze of Torment”: AOM è un disco che bisogna procurarsi e goderne in diretta, senza condizionamenti e senza badare alla sua età. I Morbid Angel hanno avuto il privilegio – e la fortuna – di essere stati tra i precursori, ed hanno dato una svolta a livello di inventiva e tecnica consolidando tematiche esoteriche (e spesso sataniche) in un gioco di dissonanze e controtempi a cui oggi facciamo forse poco caso.

Questo sono stati i Morbid Angel. Artefici di un sound inimitabile, distinguibile fra centinaia, quasi definitivamente smarrito negli anni con l’avvento di tecnologie maggiormente “hi-fi”: il fascino di “Altar of madness” è, probabilmente, anche nel suo essere meravigliosamente e sinistramente anacronistico rispetto a quanto possiamo ascoltare oggi.

E’ vero che nel 1984 i Possessed ci avevo regalato quel piccolo gioiello chiamato “Seven Churches”: ma posso dire senza rischio di risultare blasfemo (!) che “Altars of madness” esalta una follia musicale ed una violenza sonora assolutamente superiore. Sarà una questione “affettiva”, o forse che i primi hanno avuto meno fortuna dei nostri: sta di fatto che abbiamo di fronte un disco capolavoro che non puo’ mancare nella musicoteca di qualsiasi appassionato.

A cura di Salvatore Capolupo