MINISTRY – Amerikkkant
Anche i Ministry, alla fine, sono tornati: dopo più annunci ufficiali in direzione opposta e cinque anni dopo un disco sostanzialmente imprevedibile (‘From beer to eternity’), una delle band più longeve del panorama americano è ricomparsa sulle scene. Il risultato, ovviamente, non poteva che fare discutere animatamente.
‘AmeriKKKant’ è un disco concreto, sinistro e sulfureo, costruito più su atmosfere malsane e ritmiche marziali che su sfuriate ritmiche, riflesso incondizionato del controverso clima politico dell’America attuale. A riguardo, se non fossero abbastanza esplicative le tre K all’interno del titolo, basterebbe considerare un brano come ‘Antifa’: scritto poco dopo l’elezione di Trump, sulla scia delle proteste che si scatenarono in quel periodo (qui il video). Non è la prima volta che Jourgensen esplicita il proprio pensiero a riguardo, ma per alcuni ciò ha rappresentato una “novità”, tanto che – soprattutto tra i fan americani – molti non hanno risparmiato critiche per la presa di posizione dell’artista. Presa di posizione che era più sostanziale che ideologica, come ha spiegato anche in seguito.
Raccontare come sia questo disco, del resto, non è facile; di sicuro, al primo impatto, siamo lontani da qualsiasi feeling precedente, anche se qualche spunto deriva dal succitato ‘From Beer to Eternity’, con l’atmosfera post-apocalittica tipica della quarta “generazione” della band. Ammesso infatti che la prima sia quella darkwave (anni 80), la seconda quella industrial-cyberpunk (fine anni 90), la terza quella più metal – la più nota al grande pubblico, in effetti – si potrebbe dire che ‘AmeriKKKant’ finisca per essere l’evoluzione naturale del discorso avviato, con sonorità miste tra varie influenze (più elettronica e rock industrial che metal), ed una lunghezza dei brani più lunga della media. Per quanto l’aggettivo “naturale” possa suonare improprio per una band che ha fatto della sperimentazione un must, AmeriKKKant si propone soprattutto come riflessione complessiva, organica e totalizzante sullo status della società in cui viviamo. Non si tratta pero’ di un disco semplicemente anti-Trump, anche perchè le note ufficiali di accompagnamento lo specificano chiaramente: Jourgensen sembra volersi interrogare sul come si sia arrivati al complessivo degrado culturale moderno, dando così un risalto enorme ai testi del disco. In realtà ‘AmeriKKKant’ è anche, indirettamente, incentrato sulla ricerca di una possibile via di fuga dalla “gabbia del criceto” imposta dall’esasperazione moderna (“I’m afraid for the stupidity of not embracing nonsense. I think nonsense is a great escape from the rigors of being in life’s hamster wheel“, riportano le note ufficiali).
Parliamo di una band che può piacere o meno, ma sicuramente ha fatto la storia del genere: una delle influenze più importanti per decine di altre, Rammstein e Marilyn Manson su tutti, e che – dietro la spinta del vulcanico Al Jourgensen, artefice di numerosi altri monicker e side project – ha saputo fissare precise istantanee di innovazione nel mondo della musica rock, metal ed industrial. Sempre tra alti e bassi, per la verità, e perennemente in bilico su almeno tre generi diversi, i Ministry sono arrivati a concepire questo nuovo, attesissimo, AmeriKKKant, uscito per la Nuclear Blast, ed il responso è certamente positivo.
Un disco industrial rock concepito con classe e gusto, che fin dalle prime note si presenta spiazzante sia nei suoni (la nenia misteriosa di ‘I Know Words’ o la successiva, marziale ‘Twilight Zone’ [guarda il video]) che nella durata dei brani (in media 6-7 minuti ciascuno). Suoni molto curati, come tradizione Ministry impone, nel giusto mix tra aggressività e sperimentazione oltre che ricchi di inserti elettronici e voci registrate, mai fini a se stesse. Durante ‘Twilight Zone’, ad esempio, possiamo sentire più volte il campionamento della frase “How stupid are the people of the country?” intervallato dalla parola “terrorists“, il che sembra voler evocare i tempi di The mind is a terrible thing to taste e rendere il brano una sorta di performance artistica, più che semplice musica. Fermo restando, tuttavia, che le sonorità attuali dei Ministry non ricalcano passivamente quei tempi e quei modi, ma si esplicano in un industrial rock a tinte metal di matrice molto moderna e (almeno a mio avviso) altrettanto coinvolgente.
‘AmeriKKKant’ è un disco più politico che feroce, privo dei difetti del lavoro precedente in cui vi erano troppi brani, anche poco omogenei tra loro, ed in cui molte delle sfuriate sonore classiche sembrano cedere il passo ad atmosfere più ragionate, con molte polemiche e provocazioni contro l’attuale politica USA: una cosa per cui Jungensen è noto da sempre, e di cui non ha mai fatto mistero (uno dei migliori lavori della band come Rio Grande Blood, ad esempio, faceva parte di una trilogia anti-Bush). Mi sembra anche evidente che il thrash metal di dischi come Relapse abbia ceduto il passo a riff più semplici e diretti, che ti si inchiodano in testa, così come le inconfondibili linee vocali del “profeta dell’Apocalisse” per eccellenza. In questo senso, quindi, un ritorno alle origini (la seconda era di cui sopra). AmeriKKKant resta, pertanto, più vicino all’industrial che al metal, e forse il brano più emblematico di questo è Wargasm, proposto quest’anno anche nei live.
Una band che – faccio un piccolo, necessario inciso – non è mai stata abbastanza tributata in Italia, anche in vista delle sue sporadiche apparizioni sui palchi: in pochi si sono accorti, ad esempio, che sono passati da Milano lo scorso anno, dopo anni di assenza (da quello che ho trovato, la precedente risale addirittura al 2006, a Rimini), assieme ai Five Death Finger Punch. Una data passata sostanzialmente sottogamba, in cui i nostri suonavano prima della band del Nevada, e di cui davvero in pochi hanno sentito la necessità di parlare. In realtà i Ministry hanno il merito di aver ricreato un genere in modo accattivante, con ogni singola uscita (incluse quelle più snobbate, quali Animositisomina e Dark side of the spoon). Un genere che rischiava di diventare sterile sperimentazione, e per cui questo disco è un coerente manifesto continuativo rispetto al passato, considerando anche che i nostri sono coetanei dei Metallica (scusate se è poco).
In Italia, poi, mi pare non abbiano mai avuto la popolarità che meritavano, per motivi per me difficili da comprendere e che richiederebbero, forse, un’analisi a parte (che non farò, almeno in questa sede). Del resto se da noi l’industrial è associato istintivamente a band che sono più forma / trucco che sostanza, sarebbe ora di riscoprire la loro sana variante, figlia delle migliori produzioni rock e contaminata in questa sede da una varietà di musicisti diversi (ai soliti Sin Quirin, John Bechdel e Tony Campos si affiancano partecipazioni di Joey Jordison, DJ Swamp e Burton C. Bell). Il senso del mio discorso, alla fine, è che se l’interesse degli ascoltatori finisce per snobbare band come i Ministry, in nome di proclami passatisti che sminuiscono il genere a prescindere, è addirittura possibile che un disco come AmeriKKKant passi del tutto inosservato. Sono consapevole che non si tratti del capolavoro del genere come poteva esserlo, ad esempio, The land of rape and honey, ma nel contesto odierno rimane un buon disco.
Un lavoro non banale e discretamente elaborato, il quale fatica a trovare una collocazione precisa in termini di genere, figlio dell’evoluzione sconnessa ed anarchica che da sempre accompagna la carriera della band; esso ha senso nella sua ennesima imprevedibilità. Potrei anche raccontarvi che ‘Wargasm’ e ‘Victims of a clown’ (la cui struttura è sorprendente) siano i pezzi migliori dell’album, ma questo finirebbe per sminuire un ascolto che va fatto necessariamente nel suo complesso. Con l’appunto finale che, al limite, non tutti apprezzeranno e che, al limite, potremmo accorgerci della loro esistenza quando non saranno più in attività, nel consueto revival nostalgista delle band che non sono più in attività. Godiamoceli.
A cura di Salvatore “Headwolf” Capolupo
- Band: Ministry
- Titolo: AmeriKKKant
- Anno: 2018
- Etichetta: Nuclear Blast Records
- Genere: Industrial Metal
- Nazione: USA
Tracklist:
1. I Know Words 3:14
2. Twilight Zone 8:03
3. Victims Of A Clown 8:18
4. TV 5-4 Chan 0:49
5. We’re Tired of It 2:48
6. Wargasm 6:19
7. Antifa 4:56
8. Game Over 5:01
9. AmeriKKKa 8:30
Ingegnere per passione, consulente per necessità, insegno informatica. Secondo capo-redattore e supporto tecnico di SDM.