MANOWAR – Into glory ride

MANOWAR – Into glory ride

Matrix / Runout (Side A ): MRI-666 A DEATH TO FALSE METAL (Discogs)

Il secondo disco ufficiale dei Manowar fu anche il primo a includere il batterista Scott Columbus (2011, RIP) nella formazione, e si caratterizza per un’atmosfera particolarmente oscura – e forse eguagliata soltanto dal successore, Hail to England, a formare una triade delle meraviglie assieme al disco di esordio, Battle Hymns. Prima di iniziare a produrre dischi fotocopia con testi incentrati monoticamente  sulle parole kill-hail-blood-throne-triumph, infatti, i Manowar hanno prodotto una triade di album che è passata alla storia per aver inventato l’epic metal (o, secondo critici come Scaruffi, il sottogenere da lui citato come pomp metal). Sarà vero? Sarà falso? Poco importa, se il tuo mantra di ogni tempo è DEATH TO FALSE METAL!

Con i loro testi ispirati alla mitologia norrena e a quella greco-romana, i Manowar sono forse diventati poco credibili per parte del pubblico, in particolare per alcune produzioni più recenti (o per l’età dell’ascoltatore medio, che avanza inesorabile). Fu pero’, al netto di produzioni altalenanti uscite negli anni successivi, con i primi tre album che raggiunsero il massimo del proprio splendore.

Per chi non ricordasse esattamente di quale album stiamo parlando, basterebbe ricordare la frase “she’s only sixteen“, il grido disperato di una madre che scopre il protagonista in atteggiamenti inequivocabili (e subito dopo, ovviamente, si sfonda una finestra e si scappa). Subito dopo, parte il disco: un brano migliore dell’altro. Into glory ride è uno dei dischi heavy metal “dimenticati” snobbati ingiustamente dalla critica e da parte del pubblico, che annovero da sempre nella discografia dei miei preferiti, tra i pochi album di culto tra cui, ad esempio, inserirei il disco d’esordio dei Vio-lence Eternal Nightmare oppure The Headless Children dei WASP, che seppero dare un contributo fondamentale al genere.

Into glory ride rientra anche tra i dischi più oscuri del periodo, forse dell’intera discografia dei manowar-iani: uscì con etichette diverse (cito a campione: dello stesso album ci furono varie edizioni in bilico l’ufficiale ed il bootleg, pubblicati dal 1983 in poi, rispettiamente prodotte sotto Music For Nations, Combat, Universal, Music for nations, Nexus, Megaforce Records, Under World Records, Geffen Records e via dicendo), ed è attualmente (al momento in cui scrivo) introvabile su Spotify e (in parte) su Youtube, contribuendo così alla sua fama di disco di culto. Un heavy metal diretto, cupo, per certi versi sbroccato, grezzo quanto oggetto di una pregevole nuova versione risuonata dalla band, del 2011; un sound nudo e rigidamente spontaneo, che non sarebbe sopravvissuto in questa forma se non nei sogni di pochissimi. E magari, ripensandoci, è stato meglio così-

I testi di Into glory ride, a leggerli oggi, sono ancora pregni di pura poesia.

What was written foretold in dreams,
in visions apocalypse now seen.
And all self-righteous fools
who lived and blasphemed
Drink the wine of his anger
Die with the beast.

Il perchè è subito detto: Into glory ride, disco del 1983 che inaugura l’epic metal prima ancora che avesse un senso parlarne (e che trovate ad esempio in streaming su Apple Music, ma anche probabilmente nei 9 o 10 negozi di dischi rimasti aperti in Italia: e  neanche in tutti) è un piccolo capolavoro di atmosfere epiche, tenebre e mitologia, in grado di suscitare quella sensazione che solo i dischi possenti possono evocare.

LP che, per inciso, parte col botto con la potentissima Warlord, un heavy metal vecchia scuola che si richiama direttamente alle sonorità grezze dell’album di esordio, per poi passare alla magia dei brani successivi: la sulfurea Secret of steel, il dark metal di Gloves of metal che non ti entra in testa (ma che in fondo ami, fin dal primo ascolto), il capolavoro epico Gates Of Valhalla, l’atipica e dissonante Hatred e l’accoppiata di lusso finale: la splendida, ineguagliabile Revelation (Death’s Angel) (ogni volta che la riascolto, da brividi) e la cadenzata March For Revenge (By The Soldiers Of Death). Questo è davvero un disco metal come pochissimi ne sono usciti, e se non l’avete ben presente dovreste andare immediatamente a riascoltarlo.

Revelation, the chosen saved
Earth be cleansed in a blaze.
Armageddon, the first trumpet blows
Hail, fire and blood
fall on Satan’s throne

Sono passati 37 anni da allora, e forse non ha neanche troppo senso discuterne ancora. Ma anche oggi, come allora, il mantra rimane quello di sempre: DEATH TO FALSE METAL – o magari, parafrasando il maestro Cetto La Qualunque, ntu culu a tutto il resto.

TRACKLIST

A1 Warlord
A2 Secret Of Steel
A3 Gloves Of Metal
A4 Gates Of Valhalla
B1 Hatred
B2 Revelation (Death’s Angel)
B3 March For Revenge (By The Soldiers Of Death)