CANNIBAL CORPSE – Eaten Back To Life
Questo disco sorprende per una serie di ragioni: l’incredibile maturità artistica raggiunta dalla band sin dalle origini, la grande sicurezza con cui riuscirono a districare le loro consuete ritmiche da spavento, e per essere riusciti – credo, in primis – a creare un nuovo stile di death che in quel periodo si sarebbe consolidato grazie a Morbid Angel, Suffocation e pochi altri.
Formazione delle origini: il grande Chis Barnes alla voce (rimarrà nei Cannibal fino al quarto album, l’immenso The Bleeding, per poi formare i Six Feet Under), Jack Owen (che poi andrà nei Deicide) e Bob Rusay alle chitarre, Alex Webster al basso e Paul Mazurkiewicz alla batteria. Al disco, tra l’altro, parteciparono – con alcune parti di voce – proprio Glen Benton e Francis H. Howard degli Incubus, in particolare dentro “Mangled” e la velocissima “A Skull Full of Maggots”. Non entro nel merito sul fatto che Barnes possa considerarsi migliore o peggiore del suo successore: per me, semplicemente, gli stili sono diversi e qualitativamente si equivalgono. La copertina, che rappresenta uno zombi che si auto-smembra, non sembra essere ancora opera dell’artista Vince Locke che poi firmerà praticamente tutti i dischi ufficiali successivi. Per la cronaca la censura colpì da subito i musicisti americani, che fecero uscire il disco con doppia copertina “sporca-pulita” (a questo link c’è il confronto tra le varie copertine censurate ed originali).
Cosa dire di questo disco? Innanzitutto direi di notare come il death proposto dai Cannibal esca durissimo, diretto e probabilmente con minore inventiva dei successivi (ma questo, ovviamente, è un problema molto relativo), dalle sonorità taglienti e spacca-tutto (in certi punti ci sono suggestivi spunti grindcore, come nel main-riff convulso di “Edible Autopsy“: ma si tratta “solo” di semplici suggestioni). Effettivamente i punti di contatto con la band di Benton si notano parecchio, eppure qui siamo di fronte a qualcosa di originale e molto diverso dal coro, se vogliamo. SI tratta infatti di una delle pietre miliari del gore-death, ovvero il death-metal che passa la propria esistenza attraverso macabri riferimenti ad autopsie, cannibalismo e necrofilia (il disco è dedicato, oltre che ad Alfred Packer “primo cannibale della storia“, a Lucio Fulci e Dario Argento, e di entrambi la band è notoriamente fan).
Tra i pezzi più truculenti e degni di nota, ci sono certamente le incisive e brevissime “Put them to death” e la succitata “A skull full of maggots“, che confermano una sorta di attutudine esasperata a suonare veloci e senza fronzoli: cosa che poi sarà in parte smentita dai vari pezzi epicamente lenti ed ossessivi del seguito. I Cannibal Corpse fanno sul serio da sempre, e qui lo hanno dimostrato con grande lucidità. Dopo il delirio complessivo che trasmette il CD, conclude le danze “Buried in the backyard“, che rappresenta un feroce omicida pienamente consapevole della crudeltà dei propri gesti (come sempre accade nei testi dei Cannibal Corpse) che vive, in qualche modo, dell’annullamento altrui:
“To kill, is why I live
My God, gives eternal life
Slice you, i watch your blood flow
Rotten brains, I feed ‘till I’m full
Pressure building, the body starts to swell
The souls of my victims brings me great power…“
Ingegnere per passione, consulente per necessità, insegno informatica. Secondo capo-redattore e supporto tecnico di SDM.