SDM Classics: CANNIBAL CORPSE – Butchered At Birth
In più fasi dell’ascolto del secondo album dei Cannibal Corpse, “Butchered at birth“, anche il più patito fan del genere potrebbe chiedersi, con perplessità, cosa stia ascoltando. Riff complicatissimi, voce ancora più cruda dell’album di esordio (l’indimenticabile e altrettanto sobrio Eaten Back to Life), dinamiche musicali da mal di testa, sostanziale dissonanza e inascoltabilità come nota principale. per chi non fosse avvezzo un minimo al genere, siamo realmente al limite: tutto questo è, a primo ascolto, un nuovo ennesimo mattone targato Cannibal Corpse.
Del resto la scuola death mette in primo piano, almeno per la cosiddetta old-school, la sonorità anche quando inascoltabile, le sue misteriose ed incompresibili dissonanza, in una parola il “diabolus in musica” esaltato da un famoso (ed in parte sottovalutato) lavoro degli Slayer.
Si parte con “Meat Hook Sodomy“: grugniti infernali all’inizio, chitarre a “zanzarina” per creare l’atmosfera malsana che pervade l’intero CD, e inizia il macello. Sì, macello è la parola giusta, perchè “Butchered…” è un disco (in senso buono, s’intende) indigesto: se pensate che la crudeltà massima sia stata raggiunta, come sonorità, da dischi come quelli dei primi Morbid Angel o dei Suffocation, qui le cose vanno ancora peggio. Il disco, comunque, rimane a suo modo epocale ed espressivo di un modo di intendere la musica che ad esempio, nell’ambito underground, sarebbe diventato paradigmatico: nessun maledetto compromesso.
Pesantissima la copertina, almeno la versione uncensored: un’operazione di macelleria effettuata da due zombi su una donna incinta, con tanto di estrazione del feto. Qualcosa che evidentemente richiama la crudezza del cinema di genere anni 70 italiano, a partire dal famoso Antropophagus di J. D’Amato. Probabilmente uno dei pezzi ideali per approcciare il mood del disco, assieme a “Vomit the soul” e “Rancid Amputation” (tutti brani da dedicare alla propria amata, ovviamente). Figuriamoci il resto: l’intero “Butchered…” è un autentico collage di sensazioni devastanti, che difficilmente colpiranno chi non ama le sonorità che, di fatto, si sono consolidate con questo disco. Il tutto accompagnato da un cupo e macabro nichilismo, con descrizioni dettagliate e disgustose declinato, ovviamente, in modalità esclusivamemte splatter e ultra-gore.
Difficile entrare ulteriormente nel merito della title-track di “Butchered at birth“, perchè è lì che una persona normale arriva a chiedersi cosa diavolo stia passando il suo lettore. Ed è proprio questo il punto: i Cannibal Corpse non sono normali, sono menti geniali quanto perverse che elaborano musica con lo stesso spirito, probabilmente, a quello con il quale Fulci mostrava per vari secondi la scheggia che trafigge l’occhio di Olga Karlatos nell’indimenticabile horror “Zombi 2“. A cui, probabilmente, questo come altri dischi dei Cannibal finirono per ispirarsi.
Ascolto questo lavoro periodicamente, ormai da anni, ed ogni volta sembra la prima: questo perchè è francamente difficile ricordare la differenza tra Gutted, Living Dissection e Under the rotted flesh: è un qualcosa che mi fa un po’ sospettare che, a confronto di altri, il disco non sia proprio tra i più riusciti. Pezzi difficili da memorizzare, certo tutt’altro che banali e del tutto privi di spunti pretenziosi o della serie “ti faccio vedere come si suona un assolo, guarda come sono bbbravo“. Pochissimi assoli, curiosamente, e quei pochi presenti quasi sempre ultra-veloci. E tra un headbanging e l’altro, starei ad ascoltare questa roba per ore ed ore senza mai stancarmi, leggendo e traducendo spesso i loro testi, spesso snobbati come superficiali (quando in realtà non lo sono affatto: e se non ci credete, iniziate a leggere Cioran). That’s death metal.
Ingegnere per passione, consulente per necessità, insegno informatica. Secondo capo-redattore e supporto tecnico di SDM.