METALLICA – …And Justice For All

METALLICA – …And Justice For All

Quarto album in studio per la band di Kirk Hammet e James Hetfield, il primo dopo la tragica scomparsa del Bassista Cliff Burton: un album pregno di trovate tecniche, inventiva e scottante attualità poltica e sociale.

 

Se è vero che il metal, in alcune circostanze, sconfina pericolosamente verso intellettualismi auto-referenziali che rendono di nicchia – nel senso peggiore del termine – il prodotto in questione, probabilmente “…And justice for all” dei Metallica ricade per certi versi esattamente in questa casistica. Lontano dagli stereotipi occultisti e satanici, verso i quali la band è stata sempre abbastanza distante per la verità, presenta un metal in evoluzione, sia come tematiche che come tecnica che come produzione.

Un disco fin troppo noto per la splendida “One“, un cavallo di battaglia nei live della band tuttora: la tragica narrazione di un soldato ferito che si risveglia senza gambe e senza braccia in un letto d’ospedale. Tutto il brano si incentra su ricordi nostalgici, disperata voglia di rivivere ed una frustrante voglia di riscatto che non potrà mai più essere riscattata: un po’ come accade, probabilmente, al soldato Ron Kovic nel film “Nato il 4 luglio“. L’ispirazione del brano, peraltro, è anch’essa cinematografica e trae spunto dal misconosciuto E Johnny prese il fucile” di Dalton Trumbo, film americano del 1971.

Ovviamente il disco non si limita al celebre brano: in apertura Blackened e la title-track presentano i Metallica in veste piuttosto rinnovata rispetto a quanto avveniva in passato. Ritmi serratissimi, un’esasperazione della complessità delle ritmiche, una produzione a tratti gelida ma tecnicamente ineccepibile: e poi tematiche che virano verso ingiustizie sociali e rabbia dei deboli verso i forti (non semplicemente personali come avveniva nei dischi precedenti): questo, in breve, lo spirito del disco, visibile nella pur classicheggiante “Harvester of sorrow” e nelle invettive anti-religiose di “Dyers eve“. Non dimentichiamo, inoltre, che questo disco deriva dalla comprensibile ed esplicita amarezza per la scomparsa di Cliff Burton, a cui è dedicata la strumentale “To live is to die“.

Un disco importantissimo come quarta carta conclusiva della quadrilogia dei “master of thrash“, ultimo CD puramente e genuinamente di questo genere, secondo molti – me compreso – il Canto del Cigno dei Metallica, che da allora cambiarono radicalmente le carte in tavola.