AGGLUTINATION Metal Festival 2012 – il reportage dell’evento!
E’ il 25 agosto e, dopo un’interminabile coda sulla SA-RC, il caldo inizia a diventare più sopportabile man mano che mi avvicino al campo sportivo di Chiaromonte, in provincia di Potenza, dove quest’anno si terrà la diciottesima edizione dell’Agglutination, metal fest tra i più importanti nel Sud Italia che, anno dopo anno, grazie all’impegno dell’abruzzese Gerardo Cafaro, riesce a radunare centinaia di appassionati provenienti da tutta la penisola.
Il primo passo in avanti, rispetto alle precedenti edizioni, è proprio la location: oltre al campo in erba che sostituisce, finalmente, il fondo in terra battuta degli scorsi anni, non può non colpire l’attenzione rivolta all’impianto luci ed audio: circa 90.000 watt pronti ad esplodere per una giornata di grande musica internazionale!
Il sole è alto e il difficile compito di aprire le danze è affidato ai cosentini Ghost Booster, che inaugurano il palco con il loro thrash metal arricchito da influenze prog e sonorità melodiche. Nonostante l’assenza di pubblico, impegnato negli interminabili quanto inutilmente meticolosi controlli di sicurezza ai cancelli, la band calabrese non si lascia scoraggiare e snocciola, in poco meno di quindici minuti, un furioso assaggio del loro repertorio: “Energy Drink”, “De Gustiboost”, “Space Blackout” scorrono veloci grazie all’ottima performance dei cinque, sorretti alla grande dalla voce di Paolo Nardelli e dalle chitarre di Luigi Capristo e Piergiorgio Vercillo.
E’ il momento dei Poemisia, symphonic-gothic metal band napoletana, ma soprattutto della vocalist Tina Gagliotta che s’impone immediatamente sulla scena, complice di volumi troppo alti che annebbiano gli altri membri, costringendoli ad un ruolo di secondo piano. La musica è quella a cui ci hanno abituato da anni artisti come Nightwish, Tristania o Epica e il paragone si appesantisce e diventa motivo di pressione dopo i primi brani presentati, giungendo al termine della setlist con una sensazione di vuoto saziabile soltanto con una maggiore dose di originalità.
Con l’arrivo dei Twilight Gate il pubblico inizia ad infiammarsi: la band di Bari attira l’attenzione con il suo power-epic metal forte di ritmiche serrate e ritornelli facilmente trascinanti, ma è con la cover di “Powerslave” degli Iron Maiden che riesce ad ottenere il primo pogo della giornata. La performance, arricchita dall’ineccepibile voce di Stefano Fiore, risulta convincente sia sul livello tecnico che scenico.
Si ritorna al progressive con i Lunocode, un genere che in alcuni momenti tradisce la formazione di Perugia rendendo i brani a tratti confusionari e pretenziosi. La scaletta si apre con “Cosmic Architect” che presenta più che degnamente la voce di Daphne Romano (che per l’intera durata dell’esibizione si distinguerà per il carisma con cui riesce a domare il palco), mentre sarà con la conclusiva “Buried In The Abyss” che dimostreranno appieno il loro valore anche le ritmiche di Paride Mazzoni e Giordano Boncompagni.
Il sole inizia a tramontare quando è il turno dei Vexed che promettono al pubblico un pò di “violent blast metal”, intento mantenuto in parte: la band lombarda non convince e scivola sui presenti senza lasciare traccia, pur giustificati in parte dall’impianto sonoro ovattato e altalenante. Neanche la cover di “Black Metal” dei Venom riesce ad alzare il livello della performance: poco meno di mezz’ora di thrash-death metal “spento” e poco trascinante.
Manca poco all’arrivo dei tre headliner e il difficile compito di scaldare il pubblico prima dei Rotting Christ spetta ai lucani Ecnephias, che, fatta eccezione dell’apprezzabile scelta di proporre parte dei testi in italiano e dalle impeccabili quanto opportune parti di tastiera, non riescono a distinguersi e ad emergere pur dando vita ad una piacevole esibizione. Prima di concludere con gli ultimi due brani, Mancan presenta quello che è “il loro inno”: “A Satana”, e, non essendo questo un tributo carducciano o baudeleiriano, ci si chiede se, dopo casi come quello della chiusura del Sikelian Hell Fest in Sicilia dettato dal pregiudizio e dal fanatismo cattolico, tutto ciò sia davvero necessario…
Faticosamente siamo arrivati al primo dei tre gruppi di punta di quest’edizione, e l’importanza si palesa con l’esplosione dell’impianto audio e luci che finalmente ha l’opportunità di scaricare sul pubblico un possente muro di suono. Si inizia con “Feast of the Grand Whore” che rassicura i fans sullo stato della band: Sakis e co. sono più in forma che mai e sfruttano degnamente il calore del pubblico macinando violenza e devastazione ad ogni singolo riff.
La setlist prosegue regalando brani ripescati dall’intera carriera della band greca: da “Forest Of N’gai” a “The Sign Of Prime Creation” è un tripudio di pubblico e il pogo non accenna a diminuire neanche durante la presentazione dei brani tratti dal nuovo album “Aelo”, per poi esplodere furioso nelle immancabili “Non Serviam”, “Fgmenth, Thy Gift” e “The Call Of The Aethyrs”.
Rotting Christ |
I Rotting Christ si riconfermano una delle più grandi death metal band del panorama europeo e dopo un’ora di live (ringraziamo i Destroyer 666 per aver abbandonato il fest regalandoci minuti preziosi in loro compagnia) il pubblico è soddisfatto quanto esausto, conscio che le emozioni non sono finite in questa notte di musica estrema.
A dare respiro alla giornata intervengono i Rhapsody of Fire di Fabio Lione e Alex Staropoli, impreziositi dalla presenza alla sessione ritmica dei fratelli Holzwarth che con il loro epic-power metal mettono in scena uno spettacolo ben collaudato fatto di atmosfere lontane, cori possenti e narrazioni nostalgiche quanto fantastiche.
Per quanto possa far storcere il naso la loro presenza in questo festival ai “puristi” del genere, non si può negare che i cinque abbiano un grande seguito di pubblico e sappiano creare atmosfere festaiole e di unione tra gli amanti del genere: durante l’intera esibizione il pogo ha ceduto il passo a danze, balli di gruppo e brindisi alcolici.
Rhapsody Of Fire |
L’impeccabile voce di Lione ripercorre per circa 70 minuti l’intera carriera della band di Trieste, dalla più recente “From Chaos To Eternity” alle vecchie glorie di “turillica” memoria come “Lamento Eroico”, “The Village Of Dwarves” e “Dawn Of Victory” culminando sul finale con l’attesissima “Emeral Sword”.
Uno show che di sicuro avrà accontentato i fans della band e avrà fatto riposare le membra dei più arditi in attesa dei veri headliner della giornata: i Dark Tranquillity.
Rhapsody Of Fire |
Le luci si abbassano e ad accompagnare le proiezioni sul fondale dello stage interviene l’intro di “Terminus (Where death is most alive)”, con cui la band svedese si presenta al pubblico italiano, uno dei pubblici più apprezzati da Stanne e soci e a cui hanno dedicato l’omonimo dvd live pubblicato poco più di un anno fa.
Dopo i problemi tecnici iniziali che hanno penalizzato i primi brani, i Dark Tranquillity esplodono in tutta la loro maestosità domando il pubblico con brani storici come “The Treason Wall” e “Lost To Apathy” che assumono maggiore fascino in sede live, ma soprattutto grazie al carisma del singer, abile mattatore e simpatico intrattenitore che si concede a ben più di un paio di dialoghi con i presenti.
Dark Tranquillity |
Si prosegue con brani tratti dai masterpieces “Damage Done” e “Projector” in cui hanno pieno sfogo le imponenti tastiere di Martin Brandstrom e i riff della coppia Henriksson-Sundin fino a lasciare il posto al momento più intenso dello show: l’esecuzione di “Misery’s Crown” e “Thereln” in cui la band e il pubblico si fondono in un’unica voce che trasuda emozione in ogni singola nota.
Il livello dei volumi è altissimo ed accoglie straripante il muro di suono di “Final Resistance”, che riesce allo stesso tempo ad entusiasmare e ad intristire: è infatti il chiaro segnale della chiusura dello show.
Dark Tranquillity |
L’ultimo pogo della giornata viene spremuto al massimo dalla possente “The Fatalist”, e tra le note conclusive delle tastiere della band di Gothenburg riusciamo a scorgere il sorriso soddisfatto di Mikael Stanne, lo stesso sorriso che mi accompagnerà fino al ritorno a casa.
A cura di Giuseppe “Crazy D.” Serpa (foto dello stesso autore)
Fondatore di Suoni Distorti Magazine e motorheadbanger.