Vietare le foto ai concerti: perchè sì, perchè no

Vietare le foto ai concerti: perchè sì, perchè no

I concerti in cui si può fotografare liberamente dal pubblico sono sempre meno frequenti, a quanto pare: una tendenza che si è accentuata negli ultimi anni, e sulla quale mi sembra interessante spendere qualche parola. Perché siamo arrivati al divieto? Cosa è successo in questi anni?

Troppi smartphone, signora mia.

Oppure siamo semplicemente troppo vecchi per il rock’n roll, e troppo giovani per morire. A voi non rode il culo se andate a vedere la band della vita e vi vietano di fare foto?

Mi vengono in mente quattro cose vissute in prima persona: la prima è il concerto dei Rammstein in Italia di qualche anno fa, in cui capeggiava – poco prima dell’inizio – un avviso eloquente, del tipo: “lasciate perdere gli smartphone e godetevi lo show“. Cosa che in pochissimi poi hanno fatto, senza così togliere ad alcuni il divertimento di postare foto o stories di Instagram del concerto.

La seconda è il live degli AC/DC a Imola, altro concerto a cui ho assistito – in cui pero’ non c’era alcun divieto esplicito, che io ricordi: in questo caso, per me, rimarrà negli annali il tizio a qualche metro da me che riprese il concerto – probabilmente per intero – con una action live cam comodamente fissata sulla fronte (una cosa molto cyberpunk anni 90, per certi versi). Paradossale, se vogliamo, dato che ai concerti grossi difficilmente riesci ad entrare anche solo con una bottiglia di plastica. Un filmato che, probabilmente, sarà stato felice di effettuare e tenersi stretto, per mostrarlo alla futura moglie o ai figlioletti, data l’unicità oggettiva dell’evento – e dato che fu una delle ultime date dal vivo con il cantante Brian Johnson.

Terzo punto: nella recente data romana dei Jethro Tull a cui ho assistito qualche mese fa, era tassativamente vietato fare foto dal pubblico. Divieto che l’Auditorium Parco della Musica impone per qualsiasi concerto, da quello che so, ormai da molti anni. E se qualcuno ci prova, per la cronaca, immediatamente viene ripreso e bloccato, con una solerzia ed una prontezza che suggeriscono, quasi certamente, condizioni contrattuali con le band piuttosto restrittive. Tecnicamente, del resto, una band che vieti l’uso di fotocamere e simili al pubblico può, in caso di cattiva gestione, lasciare il live a metà ed andarsene, lasciando la rogna agli organizzatori di gestire una folla potenzialmente inferocita (e restringendo ulteriormente un campo già ristretto dal fatto che, ad esempio, in genere i fotografi autorizzati possono in genere ritrarre solo pochi pezzi del concerto e poi, semplicemente, devono abbandonare lo show). Questo effettivamente rende complicata l’organizzazione dei concerti, soprattutto per chi – anche quando gli smartphone e le varie spy-cam non erano così di moda – ad esempio si procurava macchine fotografiche usa-e-getta pur di fotografare i propri idoli, prendendo così l’unico rischio di vedersi sequestrare una macchinetta non troppo costosa.

Gianni Leone della band Il balletto di bronzo, per fare un quarto ed ultimo esempio, tra un pezzo e l’altro dell’album Ys esplicitò un vago fastidio per chi riprendeva i suoi live e poi li caricava online. Non vietò nulla per la verità, quella volta, e nessuno abusò dello strumento: peace & love. Forse perchè a volte il pubblico sa darsi una regolata, in fondo.

Con il telefonino, col tuo tablet di merda
Non ti arrendi mai.
Sai che mi hai davvero rotto il cazzo con le tue fotografie?
Io vorrei che tutte le mie facce rimanessero solo mie
Scatti mille foto digitali e poi mi uccidi con il flash

(Elio e le storie storie, Lampo)

Fare le foto dal pubblico è un po’ come riprendere un attore sul set mentre una camera professionale sta girando il film: da quella ripresa uscirebbe fuori un’immagine distorta, non controllabile, poco artistica, poco significativa. Tecnicamente si tratta di diritti di immagine, e secondo me l’artista ha il diritto di decidere come gli altri debbano usare la propria (anche se poi non ha troppo il diritto, a mio umile avviso, di fare cazziatòni in pubblico a chi trasgredisce la regola).

Gli artisti che vietano l’uso degli smartphone nei concerti, del resto, è sempre più lunga e non riguarda solo il metal (che anzi è ancora poco colpito da vincoli del genere, rispetto alla media): non sembrano gradire la cosa, tra gli altri, Bob Dylan, Bjork, Prince, Kate Bush, Coldplay, Wilco, Jack White e la lista potrebbe estendersi pure a mio cugino che suona la chitarra con una cover band degli ABBA.

Sul momento, ovviamente, non deve essere il massimo sentirsi rimproverare pubblicamente da un’artista che comunque si apprezza. E probabilmente non bisognerebbe mai arrivare a questo: anche perchè sono in gioco varie sensibilità, e l’artista ha sempre una responsabilità enorme, quando sale sul palco. Responsabilità che spesso tende a dimenticare del tutto.

Le foto dei fan, in molti casi, esprimono il bisogno di avere qualche pixel in memoria da esibire con gli amici che non c’erano, o magari da rispolverare nei sabati sera tristi trascorsi a casa, durante il ripiego di letture annoiate e di vari ed eventuali agonie da WhatsApp: sapete, della serie “visualizza, ma non risponde“.

Del resto he cosa cambia tra una foto mossa o un filmato girato furtivamente durante “Fear of the dark” degli Iron Maiden rispetto, ad esempio, alla macchina dei ricordi che ci installano, dalla nascita, nel cervello? Quest’ultima è molto più affidabile, a quanto pare – e lo è anche rispetto ad un qualsiasi Xiaomi di ultima generazione. La questione diventa infida, quasi filosofica: conta più fare le cose, o registrare la realtà? Ha più importanza muovere il culo dalla poltrona ed andare ai concerti, o conta soltanto fare foto? Estendo il discorso: conta più aggiungere il proprio flirt su Facebook oppure portarselo a letto? Secondo molti di noi, a mio avviso, la risposta preferita potrebbe assestarsi su una considerevole deviazione dalla media.

In genere rispetto e condivido la volontà di chi non voglia farsi fotografare dai fan, anche se per certi versi, sul momento, la cosa mi provoca qualche scompenso. Mi rendo conto che il tutto possa sembrare una poesia squattrinata, ma credo una cosa con fermezza: passare l’intero concerto a riprendere l’evento fa di noi degli ottimi cameraman, al limite, e non da’ nulla di più di quanto non diano gli occhi – nonostante il senso di onnipotenza vagamente feticistico dell’avere uno smartphone in quei momenti. Del resto (almeno personalmente) è sempre più raro che vada a rivedere a casa le foto che ho fatto dal pubblico, quando posso farlo: quindi, semplicemente, se è vietato mi attengo al divieto, se non lo è faccio massimo un paio di foto e pace. E quelle foto poi le dimentico, per qualche strana ragione. Anche perché, per inciso, fotografare dal pubblico è difficile, un vero e proprio pain in the ass nel 95% dei casi – tra pogo, moshpit e gente che semplicemente si incazza perché gli stai ostruendo la visuale.

Il principio secondo il quale un organizzatore può vietare l’uso di apparecchi fotografici risponde allo stesso principio secondo cui, almeno in teoria, il proprietario di un centro commerciale possa fare lo stesso verso chiunque faccia foto alle vetrine dei negozi: si può essere d’accordo o meno, ma funziona così. Che poi nella pratica avvenga davvero o meno, in effetti, risponde ad una serie di logiche difficili da capire per il “pubblico medio”, che il più delle volte se ne sbatte allegramente, e pensa solo a divertirsi. Se nel divertirsi rientra anche il fatto di riprendere l’intero evento, qualche dubbio dovrebbe venire un po’ a tutti. In altri casi intermedi, probabilmente, un po’ di tolleranza in più (e senza dare fastidio agli altri, magari) non guasterebbe.

Questo live dei Ministry di inizio anni ’90, ad esempio, li sfoggia in tutto il loro splendore: e soprattutto per un dettaglio importante, a confronto dei concerti attuali – quasi sempre illuminati da cellulari altrui. Nessuno, per forza di cose, poteva possedere un apparecchio per fare riprese o foto, lasciando soprattutto campo libero alla visuale degli spettatori. Senza luci dei telefoni accese, lasciando intatto il doveroso senso di oscurità che, probabilmente, faceva (e fa tuttora parte) dell’immaginario indotto dalla band. Il senso è che l’abuso di cellulari ai concerti, per quanto sia obiettivamente quasi impossibile da limitare, a volte guasta pure l’atmosfera.

Una cosa che oggi, in effetti, non esiste praticamente più, visto che i video amatoriali ripresi dal pubblico sono frequentissimi, solertemente rimossi dalle piattaforme di streaming per problemi di copyright. Eppure in pochi ricordano il divieto di fare foto c’è sempre stato, ai concerti, da tempi non sospetti: basta curiosare in pagine come Il Metallaro Quarantenne su Instagram per rendersene conto. Su quasi tutti i biglietti c’era infatti scritto: NO FOTO – NO REGISTRAZIONE AUDIO VIDEO.

Non so, quindi, come e se sia davvero giusto vietare: per i fan non lo è, probabilmente, ma per chi organizza è un obbligo a cui bisogna attenersi. Consolazione attuale: gli artisti che vietano esplicitamente di fotografare non sono ancora tantissimi, e spesso alcuni cambiano idea. Ma se vietano di fotografare mi sembra opportuno attenersi al divieto. So solo altre quattro cose, al momento: i concerti che ho citato sopra furono tutti straordinari, e chiunque fosse con me in quei momenti potrebbe testimoniarlo. E posso dirlo a pieno diritto, anche senza avere alcuna testimonianza o ricordo impresso nella memoria del mio telefono.

Alla fine dei conti non sono contrario alla misura del divieto e, per certi versi, la capisco pure: mi chiedo pero’ a cosa possa portare nel lungo periodo. Se oggi ci vietano di fotografare domani potrebbero vietarci di bere (di fumare, in molti casi, già lo fanno); e forse quel po’ di illusione o sogno di trasgressione, per quello che vale, rischia di perdersi per sempre.

Lì, nei meandri delle condizioni contrattuali.

Ho sempre pensato che la fotografia sia come una barzelletta: se la devi spiegare, non è venuta bene. Ansel Adams