Dieci album fondamentali in ambito crossover/hardcore

Dieci album fondamentali in ambito crossover/hardcore

In questo articolo presento una rassegna, a mio gusto personale ovviamente, dei migliori dieci album relativa al crossover-hardcore, genere a mio avviso a volte ingiustamente malvisto da alcuni metallari, e che alla luce di questi ascolti meriterebbe di uscire dal “purgatorio” in cui troppe persone l’hanno relegato in toto. In essi convergono più sottogeneri fino a formare album letteralmente devastanti, e che – nel bene o nel male – hanno finito per segnare un’epoca. La parola crossover è qui da intendersi in senso di contaminazione del metal (o dell’hardcore punk) con almeno un altro genere e, per la cronaca, qualcuno preferisce chiamare il genere “punk metal“.

#10 – The Exploited – Beat the Bastards (Rough Justice Records, 1996)

Lavoro numero sette dei leggendari The Exploited, Beat the Bastards fu pubblicato nel 1996 e presenta un distacco della band dal punk “puro” che li aveva resi famosi: l’influenza thrash metal è più evidente della luce del sole e, per questa ragione, si tratta di uno degli ascolti a cui sono più affezionato, per così dire “storicamente”. A parte pochissimi brani non è di suo un disco memorabile, ma lo segnalo comunque per via della notevole svolta stilistica della band.

#9 – Hatebreed – The Divinity of Purpose (Nuclear Blast, 2013)

Etichetta alquanto fuorviante (“metalcore“) per la band di Jamey Jasta, che sforna un ennesimo disco sorprendente, molto influenzato dalla scuola NY HC e “metallizzato” al punto giusto. “The divinity of purpose” – attualmente l’ultima uscita della band – è un disco d’impatto e con un livello di melodia molto equilibrato, che non degenera mai nella violenza esecutiva fine a se stessa, e soprattutto non lascia scampo all’ascoltatore, candidandosi ad essere una delle migliori uscite dell’anno.

#8 – Stormtroopers of Death – Speak English or die (Roadrunner Records, 1993)

https://www.youtube.com/watch?v=0rjDwm4PMJY

Brutti, casinari, sporchi, veloci e politicamente scorretti: questi erano gli S.O.D., band di Billy Milano, Scott Ian, Dan Lirker e Charlie Benante capace di sfracellare i timpani degli ascoltatori con brani pazzeschi quali la provocatoria “Kill Yourself”, l’anthem “United Forces” (risuonata di recente anche dai Ministry) e naturalmente “Speak English or Die”. Unica eccezione alla lista (in quanto non propriamente crossover nel suo sviluppo), lo riporto perchè si tratta di un lavoro davvero notevole e, per molti versi, anticipatore di una tendenza molto sviluppata nel seguito (Municipal Waste, per citare uno dei più famosi). Da segnalare alcuni brani evidentemente parodici come “Ballad of Jimi Hendrix” e “Diamonds and rust“, “coverizzate” a modo proprio dalla band e della durata di 5 secondi ciascuna.

#7 – Sepultura – Chaos A.D. (Roadrunner Records, 1993)

Rappresenta la svolta groove dei Sepultura, che coniugano il thrash metal delle origini con vari spunti hardcore nonchè crossover: la presenza di Jello Biafra (su “Biotech Is Godzilla“) e di Evan Seinfeld dei Biohazard (in “Slave New World“) testimonia proprio quella che, qualche anno dopo, sarebbe diventata una tendenza del tutto nuova in ambito estremo (contaminare il genere con ritmiche semplici e tribali, cosa già in rilievo per via del brano “Kaiowas“). Del resto brani capolavoro come Refuse/Resist, We Who Are Not as Others, Territory e Clenched Fist rimangono impressi fin dal primo ascolto, a caratterizzare uno degli album più brutali, moderni e innovativi del periodo (per quanto controversi e non apprezzati universalmente da tutti i fan).

#6, The Accused – Splatter Rock (Nastymix Records, 1992)

I The Accused non potevano certamente mancare da una top-ten come questa: capaci di concepire un crossover molto variegato influenzato, per grandi linee, anche dal crust-punk, producono nel 1992 questo “Splatter Rock“, nel quale sembrano pero’ più evidente le influenze thrash old-school. Questo disco è una tempesta assoluta di furia musicale che, probabilmente, i nostri hanno finito poi per perdere: questione di attitudine, di età, di cose che cambiano e via blaterando. Poco importa: resta il fatto che brani come “No Choice” o “Stick in a hole“, con la loro furia psicopatica di esecuzione, alternata da momenti riflessivi e addirittura melodici, raggiungono vette che difficilmente altre band, in futuro, riusciranno anche solo a percepire. Ad maiora.

#5, Suicidal Tendencies – How Will I Laugh Tomorrow When I Can’t Even Smile Today (Epic Records, 1988)

How Will I Laugh Tomorrow When I Can’t Even Smile Today“, oltre ad avere uno dei titoli di LP probabilmente più lunghi della storia, è il terzo album dei Suicidal Tendencies, che si distaccano dall’hardcore delle origini per contaminarsi, rinnovarsi e proporre un sound che, a parte una produzione che forse lascia leggermente a desiderare, è semplicemente ST (da pronunciarsi rigorosamente estì). L’inno thrash metal Trip At The Brain non deve ingannare o farci pensare ad un lavoro monocorde, perchè HWILTWICEST – troppo “avanti” scriverlo come acronimo – è un disco micidiale, completo sotto ogni punto di vista e con tre brani che valgono da soli il prezzo del CD: la succitata opener, Pledge Your Allegiance ed il capolavoro How Will I Laugh Tomorrow, un brano struggente ed intimista come raramente accaduto nella storia del genere.

#4, Biohazard – Urban Discipline (Roadrunner Records, 1992)

Nel 1989 esce “Il vendicatore“, filmaccio con Dolph Lundgren che vede la partecipazione alla colonna sonora di questa band incredibilmente massiccia e, oserei scrivere, sanamente tamarra: Urban Discipline non è altro che il secondo lavoro dei Biohazard, che incisero “Punishment” facendola includere, neanche a dirlo, nel succitato “The Punisher” del 1989 (poco fedele al fumetto, ma questa è un’altra storia). Da non dimenticare, tra gli altri, la mazzata (sia a livello sonore che di testo) “Black And White And Red All Over“, e la stessa “Urban Discipline“, inno di guerriglia urbana come pochi. Questo disco si discosta leggermente dalla successiva produzione, più metal, della band, ed afferma le radici hardcore della band (per quanto con un certo groove antesignano, per intenderci, di ciò che avrebbero fatto anni dopo i Machine Head), traendo spunto dal degrado dei bassifondi di New-York e non disdegnando contaminazioni con metal, punk ed hip-hop. Se lo chiamano crossover, in fondo, è anche per questo.

#3, Sick of it all – Just look around (Combat/Relativity, 1992)

Una mazzata che non lascia scampo, prodotta come secondo lavoro dalla band dei fratelli Lou (voce) e Pete Koller (chitarra), con l’ausilio di Armand Majidi (batteria) e di Rich Cipriano (basso) nell’anno di grazia, per il genere, 1986 (New York, tanto per non cambiare). Sull’influenza e sul valore musicale della band credo che ci sia poco da discutere: “Just look around” procede come un treno in corsa (vedi Locomotive, neanche a dirlo), senza un solo pezzo che sia sottotono, e senza contare brani che sono apprezzatissimi ancora oggi: basti pensare a Just Look Around (con la sua intro impastatissima ed indimenticabile) e l’incredibile We Stand Alone, un anthem che fa ancora rimbalzare il cuore nel petto di chi ama l’hardcore, quello vero.

#2, Cro-mags – Alpha Omega (Century Media Records, 1992)

Alpha Omega (noto anche come Alpha-Omega o Alpha III Omega) è il terzo album dei newyorkesi Cro-Mags, uscito per la Century Media nel 1992. La voce di John Joseph, cantante originario della band – che aveva temporaneamente mollato 5 anni prima – riporta la band ad un sound corposo e massiccio, forse più thrash che hardcore, e che gode di un livello di produzione particolarmente elevato. Difficile stilare una classifica dei brani: basti citare, per avere un’idea, il groove assassino dell’apocalittica “Eyes of Tomorrow” (anthem cadenzato e puramente novantiano, espressione del miglior crossover), che poi si declina inesorabilmente in thrash metal nella parte finale, la quale rappresenta al meglio quella che è, a mio avviso, una delle migliori produzioni del periodo del genere. I Cro-Mags, tra i primi a mescolare intelligentemente thrash ed hardcore (notevole anche l’esordio “The Age of Quarrel” del 1992), sono noti principalmente per aver introdotto, assieme a molti altri, il New York Hardcore e per i continui riferimenti, nei loro testi, al culto di Hare Kṛṣṇa.

#1, Agnostic Front – Cause For Alarm (Relativity/Combat Records, 1986)

Nel 1986, nello stesso anno in cui gli Slayer danno alle stampe il loro capolavoro “Reign in blood“, il mondo musicale viene scosso da un’ulteriore bomba sonora chiamata “Cause for alarm“, probabilmente uno dei migliori dischi hardcore di tutti i tempi. Anche qui le contaminazioni metal sono tali da far pensare ad un connubio riuscitissimo tra due generi apparentemente antitetici, ovvero metal e punk, prima ancora che si iniziasse a coniare termini un po’ usati a sproposito, in certi casi, come metalcore. “The Eliminator“, uno dei principali brani degli Agnostic Front, è contenuto all’interno di questo breve ed intensissimo LP, nel quale albergano le rasoiate della polemica Public Assistance, di Your Mistake e di Toxic Shock. La band di Roger Miret e Vinnie Stigma, per cui la parola “rispetto” continua ad avere un significato concreto, sforna tuttora buoni dischi e questa, di per sè, è un’ulteriore buona “novella”.

Photo by Natalie Parham on Unsplash