CRIPPLE BASTARDS – Desperately Insensitive

CRIPPLE BASTARDS – Desperately Insensitive

“Desperately Insensitive” è stato il mio secondo ascolto dei Cripple Bastards, la band che cito in continuazione in questo blog (non a caso). Questo disco possiede una serie di caratteristiche che prescindono dall’abituale processo che accompagna l’ascoltatore medio: cerco-scarico-ascolto-butto. Sebbene infatti la diffusione della musica su internet sia particolarmente gradita ai malati di underground, e consenta una diffusione capillare di materiale di ogni genere, esiste un concetto che va al di là di questo truce scambio di bit, che riassumerei come “feticismo del metallaro”. In realtà non si tratta del metallaro in senso stretto, ma in genere del classico “fissato” con un gruppo o genere. Ne riparlerò a breve, collegandomi alla recensione. Per ora, ricordate solo che Desperately Insensitive è un disco da vivere. E poi ovviamente, ed al di là di qualsiasi retorica, credo sia molto importante supportare le band italiane fuori da certe logiche di comodo, in tutti i sensi, come i Cripple.

In questo disco, dicevamo, c’è spazio per un’atmosfera che è di fatto una solida evoluzione del punk noise-core delle origini nel marcio sound che i meno avvezzi classificheranno come “death metal“. Suona dissonante, controverso, velocissimo, apparentemente incomprensibile per il pubblico. E’ pieno di improperi contro la mediocrità umana, ama citare degradazioni mentali in abbondanza e pesca da un repertorio molto vario: politico, sociale, personale. Gode inoltre di un booklet semplicemente fantastico: vi garantisco che questo è un disco che va feticisticamente “vissuto”.

E’ estremamente polemico (anche se non è la sola tematica affrontata) con alcune frange di punk, che li accusarono in più momenti di essere misògini, di incentivare la violenza, di incoraggiare l’omicidio: in pratica, le vecchie nonnette del moralismo all’italiana andarono all’attacco. Eppure (finisco subito di fare sarcasmo su un fatto molto serio, dato che ci furono attacchi fisici, oltre che verbali, contro il gruppo) i nostri non hanno badato minimamente a tutto questo, non era scontato nè semplice farlo e bisogna dare atto della loro grande professionalità. Tutta un’altra storia, insomma, rispetto agli stantii gruppi che si occupano di presunti messaggi politici prima che musicali.

I Cripple Bastards credo che vivano di una solida consapevolezza, che diventa particolarmente autorevole per colpa del loro lacerante “nessuno compromesso” (di scuola hardcore & Do-It-Yourself, tanto per capirci): non si tratta, insomma, di quei gruppi tipo prestigiatori splatter, che ci imbrattano i timpani lasciandoci con quel senso di non-autenticità e, a volte, con un briciolo di imbarazzo. Lo spessore del disco è multidimensionale, polemico, aggressivo e carico di odio multistrato.

Qui poco importa che si chiami hate-core, hate-grind, o quel che vi pare: a me basta citare la furia di “Odio a prima vista”, “Respect or death”, “Partner della convenienza” e “I hate her”. Il disco è in realtà costituito da ben 19 bastonate nel cranio, brani destinati a non lasciare spazio a preferenze di sorta. Prendere o lasciare: forse è banale ma va detto. Unica novità rispetto al resto della produzione, infine, è che alcuni testi sono cantati in inglese: ad ogni modo, nel booklet di cui sopra ogni testo è adeguatamente spiegato e contestualizzato. Ecco spiegato, in breve, il valore del CD.

Concludo sull’onda del feticismo musicale di cui sopra. Un ascolto adeguato presuppone, insomma, che si acquisti e si abbia il booklet davanti agli occhi: leggendo i testi, spulciando le spiegazioni e riempiendo i propri polmoni dell’odore della carta. Per me tutto, in questo modo, diventa semplicemente chiaro, oltre che catartico nel senso vero del termine. Le urla di Giulio vanno al di là di qualsiasi retorica e ritornello da stadio, proprio perchè sono sincere, sentite e sanno di voglia di lottare autentica. Una mazzata di sano grindcore all’italiana di cui avevamo un fortissimo bisogno.