Intervista a Orchestra Esteh (Vinz Notaro)

Intervista a Orchestra Esteh (Vinz Notaro)

Abbiamo avuto l’occasione di poter ospitare un’interessante intervista a Vinz Notaro, mente e creatore del progetto Orchestra Esteh, messo sotto i riflettori, per l’occasione, dalla valida Fiamma Jovine.

Tra le realtà artistiche (e non solo musicali) che popolano il sottobosco italiano, credo che Orchestra Esteh merita un suo spazio di tutto riguardo, poichè riesce a rendere il proprio operato unico, singolare e estremamente coinvolgente ed affascinante. Lascio che siano le domande di Fiamma a far “emergere” Vinz ed il suo progetto per voi che ci seguite…. (Francesco Chiodometallico)

“Sabato 27 ottobre alle ore 17,30 verrà presentato al Museo del Sottosuolo di Napoli l’ultimo lavoro firmato Orchestra Esteh, progetto ritual noise di Vinz Notaro: Dreamworking / Suono Sacro Sogno. Durante la serata interverranno lo studioso di dottrine ermetiche Alberto Brandi, la psicoanalista jungiana Cinzia Caputo e il poeta patafisico Mimmo Grasso. Chiuderà la serata un’azione di teatro rituale basata sull’Opus Civitati Neapoli Inferae Dicatum, traccia appositamente realizzata per l’occasione, che sarà il cuore sotterraneo di un’azione audio-visiva a opera di Vinz Notaro, accompagnato da Anita Annunziata. 

Noi di Suoni Distorti Magazine l’abbiamo intervistato.” 

Fiamma Jovine

Da poco tempo è uscito il tuo nuovo lavoro ‘Dreamworking’ e, da quanto ho letto e ascoltato, viene definito un esperimento di “controllo del sogno”, nel quale analizzi il rapporto tra Suono Sacro Sogno – che è anche il titolo del tuo saggio sull’argomento, allegato al disco. Come è nata quest’idea?

La verità è che, molti anni fa, una notte mi capitò di addormentarmi dimenticando di togliere le cuffie… Ascoltavo Holdsworth, un chitarrista molto intrigante dal punto di vista armonico, e non solo feci sogni vividissimi, ma li ricordavo perfettamente, in più, quei sogni mi sembrarono molto diversi dal solito: potentemente surreali e spaventosi, palpabili, incredibilmente reali, ma la sensazione non era quella di un incubo dal quale si vuole uscire per disperazione, piuttosto sentivo la spinta a indagare quel mondo, a capirci di più.

Fu una cosa che mi toccò così tanto che cominciai a studiare l’argomento, partendo dalla psicologia e arrivando ai miti e all’oniromanzia greca, riscontrando chiavi molto interessanti in psicologi come Jung e Hillman, le cui opere si riallacciano alle riflessioni dei maghi rinascimentali e di tutto l’ermetismo. Ovviamente ho cercato fonti ovunque abbia riscontrato un legame tra musica e anima, concentrandomi sugli aspetti disarmonici e notturni.

Al di là dell’approfondimento teoretico, poi, da quell’evento cominciai a sperimentare con costanza i rapporti di certe armonie con la sfera onirica. Il resto è venuto via man mano, con i dovuti tempi.

Dimmi una cosa… che significa controllare i sogni? 

In epoche meno buie della nostra, i sogni regolavano tutta la vita degli uomini. Qui non c’entra l’idea illuminista di presunte superstizioni e sciocchezze miracolose, no. Significa prima di tutto capire l’importanza dei sogni nella nostra vita, ossia, conoscere la natura del sogno; in secondo luogo, significa imparare a sognare sapendo che si sta sognando; in terzo luogo, agire secondo volontà all’interno di un sogno.

«Liberarsi nel rimosso», credo che questa sia l’indicazione più importante lasciataci da Hillman: scegliere le profondità pressoché infinite di qualcosa di ignoto, dove per ignoto s’intende tutta la nostra vita interiore e il rapporto con l’interiorità di ciò che vive fuori di noi.

Perché proprio la musica come strumento di controllo del sogno? È la capacita di concentrazione agevolata dalla musica?

Non proprio. Ci sono più punti di vantaggio nell’uso della musica, uno tra tutti è il poter relazionare energie interiori e piani mitologici esteriori, tramite vincoli (basterebbe studiare Agrippa per capire il potere che la “voce” ha sull’animo umano, per esempio); un altro aspetto è la via privilegiata dell’udito durante il sogno; ultimo, quello più difficile da tradurre in parole, è un fattore operativo: la capacità della musica (di certa musica) di attivare in stato di sonno un processo di catabasi consapevole.

Quest’ultimo discorso è abbastanza complesso e l’ho dettagliatamente sviscerato nel saggio, ereditando, e in certi aspetti capovolgendo, le teorie dei maghi e musici rinascimentali come Ficino e Campanella, e prima ancora Plotino.

Insolito, complesso, lontanissimo da quello che può definirsi musica persino sperimentale, per non parlare dell’edizione speciale contenente una traccia esclusiva per ognuna delle copie limitate… Non ti spaventa l’idea di dover suonare 96 tracce diverse?

È insolito e complesso da un punto di vista materialistico, di certo anche inutile al fine di guadagnarci o semplificarsi la vita. È spontaneo e naturale, invece, se vivi una predisposizione all’indagine spirituale, una chiamata alle domande radicali. Suonare 96 tracce diverse ha sicuramente i toni di un “tramonto” creativo – nel quale si è talmente carichi da esser costretti a donare – ma è soprattutto una scelta progettuale, per dare i giusti tempi al compiersi di questa ricerca. Ma, ansia da prestazione, mai avuta.

Che strumenti utilizzi per comporre musica?

Generalmente uso campioni sonori concreti, poi filtrati e suonati via software. Uso strumenti musicali rituali, voci di animali, nonché registrazioni di ambienti particolarmente legati alle tematiche del disco.

copertina di ‘Dreamworking’
(special edition)

Dunque, pensi che a certi suoni corrispondano particolari energie? Come coniughi i principi sui quali il tuo lavoro si basa e si muove con l’utilizzo dei sistemi tecnologico-digitali attuali? E in che rapporto sei con le attuali scoperte scientifiche sull’influenza dei suoni sull’uomo?

Vado in ordine…

Di sicuro è alla portata di tutti comprendere che un accordo dissonante mette in una certa tensione l’animo umano. Ciò che faccio è lavorare sulle rispondenze tanto a lungo analizzate dal Pitagorismo fino all’Ermetismo rinascimentale, perché, semplicemente, non credo siano mai state superate dal progresso scientifico o dalla fisica del suono… In verità non c’è niente da superare. Esistono al di là del tempo.

Ascoltare la voce di una civetta non è la stessa cosa di ascoltare un gatto che miagola, e non c’è esigenza di scomodare il progresso scientifico – come di tendenza – per comprendere e usare i vincoli… Anzi, trovo risibile l’affanno scientista ad attribuire agli effetti un valore causale.

La scienza studia solo ed esclusivamente gli effetti, e quando è seria non si occupa delle cause, quando non lo è (come spesso accade) le disconosce. Onde e reazioni cerebrali non sono in rapporto causa-effetto, nel senso che non è l’ampiezza o la tipologia dell’onda a smuovere una certa reazione del cervello, ma sia la reazione cerebrale che l’ampiezza dell’onda sono effetti di qualche altra cosa. Vengono cioè mossi da altro, in accordo ad altro. Le cause sono altrove, appartengono ai regni più intimi e profondi dell’anima. La scienza attribuisce valore di causa a qualcosa che non è causa, perché non si occupa di anima.

Mi sono sempre chiesto come si fa a pensare alle emozioni in chiave scientista, fisica, chimica. Se la scienza avesse ragione, ogni tossicomane sarebbe un illuminato, e certi credono davvero ad assurdità simili. Se pensi che in America psiche spesso viene tradotto con mind, ti fai un’idea di quanto si possa arrivare a fraintendere il sacro, l’arte e tutto il resto.

Certe cose restano fuori dal tempo, esistono su piani metafisici. Le energie si chiamano e si rispondono, questo è il meraviglioso mistero della vita. Dinanzi all’eternità della musica, l’innovazione scientifica è ridicola. Ma proprio per lo stesso discorso di non negare mai le evidenze, come innegabili sono le corrispondenze occulte, così è innegabile che vivo in questa epoca: come il ribelle jüngeriano utilizzo gli strumenti del mio tempo, attingendo alle forze primeve fuori dal tempo.

In fondo tutti sognano… assicuri quindi che funzionerà con tutti? I risultati in base a cosa variano?

Qui non si parla di funzionamento. Qui si parla di un durissimo lavoro interiore, che presuppone anche esercizio e costanza preliminare. Tutti suonano o possono suonare – e purtroppo molti fingono di suonare, o peggio fingono attitudini misteriose ed esoteriche –, ma non tutti hanno un interesse spirituale reale. Il fatto che tutti sognano non garantisce la comprensione dei sogni, non garantisce la consapevolezza dei sogni, non garantisce la memoria dei sogni.

In più, la prassi sviluppata con ‘Dreamworking’ non è che un possibile strumento in una impresa difficile già da intraprendere. Una persona media, generalmente, passa oltre metà della sua vita senza vivere, senza essere presente a sé. Non credi sia terribile essere ignari di cosa accade per almeno metà della tua esistenza? La notte non è un pezzetto irrilevante del tempo che viviamo…

Chi ignora questo, probabilmente, non è in grado neppure di ascoltare il disco o di leggere il libro, per assenza di stimoli o capacità, in molti casi per il rinnegamento del lato notturno cui consegue una incapacità a sostenere la disarmonia. Non siamo tutti uguali e quelli che tu chiami “risultati” variano parecchio da operatore a operatore: restano immutati gli scenari, ossia i dati oggettivi mitologici dei sogni (il mito esiste, ed è tanto interiore quanto esteriore, come ogni cosa reale è ambiguo), mentre varia il livello di apertura dei simboli onirici e la comprensione degli stessi.

Per certi – dotati – è pura scoperta, per altri – non assestati – si giunge a situazioni di terrore; per chi invece è già introdotto e addentrato in determinate discipline spirituali, diviene un efficace specchio grazie al quale conoscere se stessi.

Mi pare chiaro che il tuo lavoro non è “per tutti”… Solitamente si ricerca nella musica una distrazione oppure qualche emozione che ci trasporti, un po’ perché in fuga dalla noia, certe volte da noi stessi… La tua musica, in assoluta controtendenza pare invece richiedere un ascolto attivo, un’attenzione partecipativa. O forse mi sbaglio e il semplice ascolto funge da “incantesimo” capace di attivare la nostra capacità onirica?

Non ti sbagli, non è per tutti. Ma ti sbagli dicendo che è in controtendenza. È l’attuale abominio artistico a essere in controtendenza con l’autenticità della musica, quella, per intenderci, che generò la tragedia greca: un rito iniziatico in tutto e per tutto, durante il quale non esisteva minimamente il concetto di pubblico come lo immaginiamo noi oggi, l’uditorio non solo non restava passivo ma era chiamato attivamente ad affrontare una durissima prova. Incarnare le potenze degli dèi.

Ripeto, non esisteva il pubblico. E in verità non esiste nemmeno oggi… quelli che vedi sono fantasmi ambulanti. Le persone alle quali mi rivolgo sono molto diverse dai classici fruitori di musica ambient o industrial, o metal o qualsiasi genere musicale ti piaccia.

Sono persone che hanno scelto di indagare la sfera onirica, e prima ancora hanno avvertito uno speciale rapporto spirituale con la musica.

‘Dreamworking’ – cd art work
(special edition disegnato a mano)

Vorrei mi dicessi qualcosa su un’altro aspetto interessante del tuo lavoro… Ho notato che sei anche un’artista visivo, lavori con la grafica e, oltre tutto, l’edizione limitata del tuo disco è anche disegnata a mano. Parlarmi di questa tua esigenza, scelta o come la vuoi chiamare, nell’utilizzare più media, da quello visivo a quello sonoro…

Percepisco quasi un intento a stimolare un’esperienza integrale, rivolta a tutti i sensi… ovviamente, al di là di quella già totale generata dal sogno…

«Non sappiamo più gustare nulla come uomini integrali», questa è una cosa sulla quale insiste molto Nietzsche. Bisogna rinnegare lo specialismo contemporaneo in nome di una autenticità che può solo essere totale.

L’esperienza “assoluta” della tragedia greca rompeva gli schemi del mondano, aprendo accessi al piano degli dèi, un’arte che sapientemente mescolava tutte le percezioni sensoriali, poiché riconosceva nel corpo un privilegiato tempio dello spirito e nello spirito un tutt’uno con l’universo.

E allora a questo punto, come coniughi la grossa diversità dei tuoi progetti? Mi spiego meglio, ascoltando la tua musica dai l’idea di un artista molto introspettivo ed ermetico, guardando invece le tue opere grafiche viene fuori un lato aggressivo e schietto fino alla violenza…

Per me è sempre stato fondamentale comunicare, io alla menzogna dell’arte incomunicabile non ci ho mai creduto, anzi, l’ho sempre combattuta. Comunicare è una difficile arte, bisogna occuparsene giocoforza a diversi livelli, passaggi, anelli congiuntivi. Scelgo i livelli di penetrazione di un messaggio che va anzitutto contro il mercato, sul piano più in superficie, e poi presume di scendere ben al di là del piano mondano, quindi agisco di conseguenza.

Gli intenti dei miei singoli progetti potrebbero risultare distanti tra loro, ma a ben vedere sono collegati: esistono differenti concetti per differenti gradi di visione, così come diverse sono le metodiche che scelgo. Nel senso, come fai ad affrontare il discorso del sogno, della spiritualità, di un certo oscuro lirismo, se prima – o durante – non smonti il sistema oppressivo materialista che appanna la visione? Ecco, queste sono cose che evidentemente richiedono strutture linguistiche assai diverse tra loro. Ciò implica confronto a tutti i livelli, confronto tra intenti, stili, media.

Anzi, trovo anche sospetta la posa di chi vive staccato dal mondo reale con la giustificazione di fare arte.

Chiaro… Ora vorrei un po’ soffermarmi sull’aspetto estetico del disco, ma anche in generale rispetto all’Orchestra… le immagini utilizzate, l’attenzione e la cura per i dettagli… 

Mi ha particolarmente colpito la scelta del disegno personalizzato all’interno del disco in edizione limitata… Noto un particolare gusto, una speciale attenzione per l’aspetto estetico. Cosa detta questa scelta?

Vedi, ho sempre disegnato con uno stile molto energico e visionario, solo che abbastanza in fretta mi resi conto che quei disegni erano troppo introspettivi e non arrivavano. Francamente, ho passato molto tempo col dubbio di smettere di disegnare… Col progetto “in vino vanitas” – che hai definito “aggressivo” poco fa – ho agito come in un bando rituale: solo dopo aver fatto un po’ di pulizia, ho riavuto la libertà di mostrare i miei disegni più introspettivi. ‘Dreamworking’ era l’occasione adatta per mostrarli.

Questa scelta mi ha permesso di essere maggiormente attento ai dettagli e, immagino funzioni così, più ci metti cura e più le cose si allineano, trovando particolari strada facendo. È il caso delle multiple esposizioni di Anita Annunziata, nate man mano che ci siamo conosciuti e giunte al livello di fotografare l’invisibile. Cosa che ritengo perfettamente rispondente alla mia musica. Senza, Dreamworking non sarebbe stata un’opera totale.

Anche il video di ‘Phalaenae Nigrae’ è nato su questa scia di spontaneità e puntando a un’esperienza integrale, soprattutto grazie alla sua collaborazione, per esempio la scena della danza l’ho girata “rubandola” a un suo set fotografico!

So che suonavi in altri gruppi, come mai hai deciso di dedicarti totalmente a un progetto solista, autoprodotto e senza distribuzione, tra l’altro… 

Sono cresciuto così… Intendo, è un problema di educazione, sono stato educato a una certa condotta solitaria, a fare da solo e anche a rischiare, in un certo senso. E questa cosa si estende alle esigenze meditative di Orchestra Esteh, e aggiungiamoci pure un certo spregio per i musicanti che ho incontrato per la via… a parte il progetto ::poyesis:: che ha avuto una grossa importanza per me, nonché le persone che vi hanno operato.

Ma esclusa l’esperienza nei ::poyesis::, di musicisti ne ho trovati pochi in giro e, in fin dei conti, mi diverte parecchio dire che i membri dell’Orchestra Esteh sono inumani. Sul problema della distribuzione ho molto riflettuto negli anni. Mi sono convinto che non esiste un pubblico, non esiste la domanda, ma esiste soltanto l’illusione profusa da chi ha il potere economico di diffondere la propria offerta, e questo capita in qualsiasi forma d’arte che s’è corrotta in un sistema di affari.

Neutralizzato questo, si deve per forza passare a una diffusione per elettività. Ed è quello che sto provando a fare, senza farmi intimorire dalle ovvie difficoltà.

Orchestra Esteh – ‘Phalaenae Nigrae’ (tratto da ‘Dreamworking’)

 

Capisco perfettamente… Ma veniamo a un altro punto.

La tua discografia passata è costellata di pezzi anche molto diversi tra loro, come mai questa grande diversificazione?

Non ho mai voluto gabbie, non è soltanto un problema della discografia, è una questione che porto avanti da sempre, avendo scelto di usare dalla poesia delirante alla saggistica, dall’arte visiva alla musica e, all’interno della musica, non vedo il problema di attraversare dall’armonia modale fino al microtonalismo, dalle parti più suonate e virtuose fino al noise inorganico.

Naturalmente, questa compresenza di linguaggi diversi finisce per amalgamarsi in una fusione che nel tempo s’è connotata sempre più fortemente come un “limbo”, com’è stata definita. I primi lavori, di certo, erano meno amalgamati. Poi, in fondo, credo di essere fortunato ad avere avuto influenze decisive come quella di Frank Zappa, che implica una visione circolare della musica, dal jazz al metal alla classica, fino all’elettronica.

Da chi (o cosa) è stato influenzato il tuo percorso musicale? dove invece pensi sia situata la tua originalità?

Sono stati decisivi i miei studi in ambito di estetica musicale, metafisica dell’arte, da Nietzsche a Bruno, da Agrippa a Baudelaire, fino alle tradizioni iniziatiche occidentali e orientali, sono questi elementi che mi hanno formato a una disciplina mistica della musica.

Al di là di questo, i miei ascolti passano da Threadgill a Skriabin, da Holdsworth a Scelsi, per non parlare poi di quelle che sono state le influenze sulle tematiche e le atmosfere, Tool, Diamanda Galas, Einstürzende Neubauten, Zero Kama, Lapis Niger.

Poi ascolto tantissimo metal, trovo le sue forme estreme (dal doom al black al death) molto vicine al mio modo di comporre. Inoltre, non c’è niente che più del metal mi riporta alla grandiosità della musica classica, prendi per esempio i Therion o i Dimmu Borgir, i primi Cradle of Filth, ma anche i primi album dei Metallica e gli Iron Maiden. Aggiungi a tutto questo che nasco come chitarrista, immagina quanto mi hanno ispirato (spero non immeritatamente) musicisti come Diamond Darrel, Trey Azagthoth, Ihsahn, Chuck Schuldiner, gente col sangue di lava…

Non potrei suonare senza l’influenza di tutta questa musica. Suonare significa “fare suono”, “farsi suono”, e il suono non esiste al di là del binomio emissione/ascolto. Non so se mi spiego. O prendi tutto o niente.

Io vengo da qui, non ho nessuna esigenza di mercato per essere diverso dalla mia provenienza. Non credo l’originalità, l’innovazione o lo stile siano problemi degni di attenzione, lo sono per i poveracci che giocano a chi campiona prima il rumore della carta igienica, ma non per me. I generi, gli stili, chi ha fatto prima o chi ha fatto cosa mi sembrano grosse stupidità del music-business.

La musica è inattuale e spersonalizzante. Se è autentica. Poi è studio, esercizio, pratica, disvelamento. L’originalità non c’entra veramente niente.

Credi i dischi passati siano stati preparatori per ‘Dreamworking’? Hai già in mente un prossimo album? Insomma, quali pensi saranno i tuoi prossimi passi?

È corretto, si, forse è giusto pensare che, tranne qualche passaggio, tutto quanto fatto fino a oggi sia maturato e confluito in Dreamworking. Non a caso è il primo disco che ho fatto uscire dal mio studio, fisicamente, mentre i precedenti prima che li mettessi liberamente on-line li avranno ascoltati poche persone.

Pensare a un nuovo lavoro è decisamente presto, anche se qualche idea ce l’ho già. Per ora sono concentrato su tutto quanto concerne Dreamworking e sull’organizzarne presentazioni in giro per l’Italia, nonché è quasi pronta la traduzione inglese di Suono Sacro Sogno e spero quanto prima di uscire anche fuori dall’Italia.

Per il resto, con buona probabilità, nel prossimo lavoro ci saranno collaborazioni con un paio di musicisti in carne e ossa, e prima del prossimo disco, quasi sicuramente, suonerò qualcosa all’interno di altri progetti musicali. Ma è ancora presto…

Foto di A. Annunziata
per Orchestra Esteh

Già leggendo il tuo saggio si capisce che è una ricerca che dura da molti anni… Hai in progetto altri libri?

Dovrei terminare un saggio sul “diabolico” e altri scritti focalizzati sugli aspetti mistici dell’arte. Di recente sto affrontando uno studio più dettagliato del pensiero musicale di Cornelius Agrippa. Non so, forse li metterò insieme, ma è ancora presto. Per il resto della mia produzione, per quella cioè di critica radicale, continua l’avventura con gli Eretici del Terzo Millennio.

Ti lascio con un’immagine che la tua figura suscita nella mia fantasia… ne Il Matrimonio del Cielo e dell’Inferno, in un frammento del suo folle viaggio Blake intravede un arpista sulla sponda di un fiume, che al chiaro di luna canta ermetici passi generando in lui visioni…

Vorrei ora tu ci lasciassi con un’immagine proveniente dalla tua fantasia, ti chiedo di pensare alle persone che ti ascoltano e che in futuro ti ascolteranno…

Gran finale! Bene, ti lascio con un passo da un mio vecchio racconto: «Un coro di antiche donne-serpente intona un terrifico canto al ritmo scomposto di ciechi tamburi. Cos’è la musica? Terrore o cecità? E il terrore, invece? Cecità o musica? E la cecità? È terrore o musica?».

a cura di Fiamma Jovine per Suoni Distorti Magazine

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